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Torna di moda la banca territoriale

1/24/2011 | Giampiero Cantoni


La crisi europea è legata a una pluralità di fattori, che sono credo ormai abbastanza chiari a tutti. I fattori di rischio sono diversi, e uno, primario, è legato all’instabilità del sistema bancario. Non in Italia, ma, paradossalmente, soprattutto in Germania, dove le banche pubbliche (che contano per circa la metà del complesso del mercato del credito) hanno probabilmente fatto incetta negli anni scorsi di titoli erroneamente considerati a basso rischio come i bond greci. Si spiegherebbe così, secondo alcuni, l’azzardata decisione della Bafin (la Consob tedesca) di bloccare le vendite allo scoperto per un anno.

Tuttavia, la prima delle crisi e il primo dei fattori di rischio è lo Stato. Lo Stato sociale si sta rivelando nel lungo periodo insostenibile in una misura che rende ottimiste le più grigie previsioni degli economisti e dei teorici liberisti di alcuni anni fa. Se fino a quest’anno potevamo pensare alla riforma del welfare state come a una necessità per liberare le energie vive della società, nella riscoperta del principio di sussidiarietà o di una solidarietà autentica, oppure come un primo passo verso la ristrutturazione degli incentivi alla produttività e al lavoro, ora questa esigenza si è rivelata più drammatica e più urgente di quanto pensassimo.
Bisogna muoversi su due direttrici. La prima è quella ottimamente tenuta dal governo italiano: ridurre davvero gli sprechi e razionalizzare il razionalizzabile, all’interno dell’attuale cornice istituzionale. La seconda è quella che si deve necessariamente prefigurare a livello di Unione Europea. Cioè cambiare il rapporto economia-Stato in tutta l’area dell’Euro. Rafforzando il mercato unico, con robuste liberalizzazioni che uniscano il mercato europeo dei servizi e portino gli Stati membri a una piena liberalizzazione del mercato del lavoro: per dare ossigeno alle imprese. E soprattutto ponendo in essere strumenti europei di stabilizzazione della spesa pubblica. Qualcosa di più forte e imperativo dei parametri di Maastricht. Per uscire, tutti assieme, dalla crisi dello Stato sociale e fare riforme strutturali permanenti.
Proprio le banche, in questo contesto che ha visto il fallimento delle politiche prima attuate, si pongono come principali soggetti che richiedono un nuovo riassetto. Le innovazioni finanziarie, alla fine degli anni Ottanta, avevano allora dato avvio alla globalizzazione dei mercati. Lo sviluppo eccessivo delle medesime innovazioni, accompagnate da incapacità gestionali e malavitosità, ci ha portati alla crisi che abbiamo vissuto. La crisi ha rappresentato quindi un punto di svolta per la funzione del banchiere, perché ad oltre vent’anni di distanza dalle prime innovazioni finanziarie e dalle prime turbolenze monetarie, la situazione è profondamente cambiata. Non soltanto il presente è diverso dal passato più recente, ma porta anche con sé un futuro di radicale cambiamento, di maggiore etica e responsabilità (oltre alla mai scontata maggiore competenza professionale) per i banchieri e le istituzioni finanziarie.
L’efficienza della banca di domani dipenderà dalla sua capacità di mobilitare e fondere le complesse organizzazioni di uomini necessarie per gestire i vincoli tecnici, commerciali, istituzionali e normativi che i mercati imporranno sempre più, alla luce di questa crisi finanziaria epocale. Ancora una volta, la variabile chiave sarà quella di selezionare ed affermare una classe dirigente in grado di affrontare con coerenza ed etica di comportamento le continue e difficili sfide che ogni crisi impone alla società.
Nel contesto globale della crisi, le banche italiane sono risultate più “tradizionali”. E ciò non significa che sia un male. Sono tre le fondamentali ragioni per cui le banche italiane hanno retto alla crisi meglio delle altre: 1) il modello di banca commerciale ha consentito una performance migliore e una esposizione al rischio inferiore rispetto al modello della banca d’investimento  di tipo anglosassone; 2) nel rapporto con le imprese, le banche italiane hanno valorizzato meglio il relationship banking che consente l’utilizzo di informazioni più qualitative  rispetto ai parametri di Basilea; 3) infine la qualità patrimoniale spiega la maggiore solidità del nostro sistema bancario.
Oggi, peraltro, le nostre grandi banche guardano nuovamente al territorio. Questo perché il radicamento sul territorio consente di sfruttare una migliore conoscenza dell’area su cui si opera anche se, d’altra parte, comporta anche costi superiori che derivano dai condizionamenti della classe imprenditoriale e della politica locale. Le grandi banche non hanno saputo sfruttare fino in fondo le debolezze dei piccoli istituti e si sono accorte di aver bisogno di una strategia d’ingresso più efficace nelle realtà locali. 
Quello a cui stiamo assistendo è una progressiva convergenza verso la cosiddetta “banca territoriale” con il doppio obiettivo di esaltare la flessibilità e i vantaggi informativi che derivano dall’attenzione al territorio, ma attenuando al tempo stesso i rischi che si celano dietro dimensioni troppo ridotte.
Da qui, emergono le attuali esigenze del sistema finanziario, che in sintesi sono: adeguare il livello di capitale per l’attività bancaria; ripensare il modello di supervisione, con regole più efficaci di semplici linee guida, e con una scala di sanzioni non negoziabili alle violazioni degli standard patrimoniali; mitigare i rischi delle banche universali, che integrano commercial e investment banking; regolare le “non-banche”, ossia bonificare il “sistema bancario parallelo”, dagli hedge fund ai veicoli speciali; migliorare la trasparenza dei prodotti, con una parallela maggiore tutela dei consumatori; favorire la cooperazione internazionale, ossia una reale integrazione dei mercati; contrastare il principio del “troppo grande per fallire”, ossia il senso di impunità che ha alimentato nei banchieri il loro “azzardo morale”, con un metodo che controlli il rischio sistemico ma assicuri nel contempo anche a investitori, creditori e manager sufficienti penalizzazioni.
In questo contesto di crisi dell’Europa, è fondamentale il rafforzamento di quella parte del sistema bancario europeo sottocapitalizzato o attraverso il mercato con capitali raccolti aggiuntivi o attraverso i governi là dove il mercato non riesce ad intervenire, con processi di ristrutturazione. La crisi, in effetti, ha dimostrato come i tradizionali strumenti di regolamentazione a livello macro siano insufficienti e sia necessaria una riforma che affronti il rischio sistemico, attraverso la trasparenza assoluta sulle attività degli intermediari finanziari e un nuovo disegno della regolamentazione stessa su banche e gestori degli investimenti. Ma una regolamentazione che dovrebbe acquisire una dimensione macroeconomica: un coordinamento tra politica monetaria e supervisione prudenziale che renda opportuna una integrazione presso un’unica autorità, la banca centrale. 
La creazione di un’Autorità bancaria europea (suddivisa in tre principali aree di supervisione), operativa da gennaio 2011, in linea di principio fornisce le possibili basi per un processo centralizzato di valutazione in tutta Europa, e rappresenta la risposta alla riforma del sistema finanziario e alle nuove regole approvate quest’anno dall’Amministrazione Obama.
La creazione di tre autorità di supervisione europee, incaricate di formare una rete con le omologhe autorità nazionali, può ovviare al problema della incredibile varietà e contraddittorietà normativa nel settore finanziario. 
Tutela dei consumatori, mercato del lavoro, settore pensionistico, sicurezza dei mercati, sono alcune delle potenziali aree in cui tali autorità vedranno espandersi le proprie competenze. 
Esse rappresenteranno il primo pilastro di una rete solida, in grado di identificare nel futuro prossimo tutti i possibili fattori di rischio, nazionali e sistemici, che possano mettere a repentaglio la stabilità economica dell’Europa.
Abbiamo imparato dal caso della Grecia e ora, la European Financial Stability Facility, con 750 miliardi di fondi, si è reso disponibile a salvare anche un altro paese a rischio: l’Irlanda. Nello stesso delicatissimo settore, a livello globale opera dal 2009 il Financial Stability Board, che ha lo scopo precipuo di favorire la cooperazione internazionale a livello finanziario. Non solo. 
Prendendo atto della situazione d’emergenza originatasi dalla crisi, ha oggi l’importantissimo compito di fissare una serie di regole quadro per le istituzioni finanziarie internazionali così da promuovere e facilitare la stabilità finanziaria globale. L’ampiezza del mandato è derivata dal fatto che il Financial Stability Board non è supportato dai Ministri delle Finanze del G7 ma dal più ampio consesso dei 20. 
Insomma, sembrerebbe voler provare che le istituzioni mondiali camminano di pari passo con quelle europee. Ovunque è emersa la necessità partecipata di concertare una base di regole finanziarie identiche per tutti, chiare, efficaci e effettive, dunque se del caso anche assistite da sanzioni.
Lo stesso premier Berlusconi, nella lettera inviata ai grandi del vertice di Seul, ha ritenuto necessario “definire e attuare regole migliori e una vigilanza più efficace sul funzionamento dei mercati e ridurre l’uso eccessivo della leva finanziaria, sia in risposta alla crisi, sia per fondare la crescita economica globale su basi più solide“. 
In quest’ottica di new regulation ogni banca, ad esempio, il cui fallimento rappresenta un rischio sistemico, dovrà ricevere un controllo di supervisione molto particolare per le politiche del rischio, l’assunzione del rischio, la gestione del rischio e per una valutazione delle condizioni finanziarie con uno standard di capitale e di liquidità molto elevato. In altri termini, i prodotti finanziari e le istituzioni dovrebbero essere controllati per la funzione economica che svolgono, i rischi che presentano e l’impatto sull’economia generale, non per la forma legale che adottano.
In tal senso, non si può consentire alle società bancarie o finanziarie di sfuggire a un sistema di supervisione frammentato o di scegliere tra organismi di controllo in concorrenza tra loro, spostando il rischio dove esistono standard più bassi. Quindi, una forte e uniforme supervisione di tutti i prodotti offerti a consumatori o investitori. 
Deve comunque essere riconosciuto che i due radicali progetti di riforma dei rispettivi sistemi di regolazione e vigilanza finanziaria varati dal Dipartimento al Tesoro americano e dalla Commissione Europea presentano un vasto consenso su alcuni punti principali: il rafforzamento del capitale nelle banche; un depotenziamento delle agenzie di rating nella regolamentazione; l’attenuazione del principio del fair value nella normativa sui principi contabili; più trasparenza e regolamentazione nel sistema bancario parallelo (fondazioni, fondi di private equity, in particolare); i derivati OTC intermediati da clearing house, per quanto possibile; la remunerazione dei manager ancorata a risultati di lungo periodo; un rafforzamento della cooperazione e del coordinamento internazionale, con un ruolo fondamentale assegnato a vari organismi internazionali quali il Financial Stability Board, il Fondo Monetario Internazionale e il Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria.
*pres. Fondazione Fiera Milano
 

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