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L’industria finanziaria è sempre più povera

3/24/2011 | Carlo Emilio Esini

Non ho mai capito perché l’industria finanziaria, non sia considerata dai suoi attori per quello che è, ovvero un’industria. I meccanismi di funzionamento, l’organizzazione di capitale e lavoro, per usare una desueta ma non obsoleta terminologia, le dinamiche di sviluppo sono esattamente le stesse; eppure tutti fanno finta di niente.


Per primi i lavoratori, ovvero i soggetti che producono e collocano i cosiddetti beni: basti pensare come, di sicuro, tra le figure lavorative meno sindacalizzate al mondo ci siano non solo i consulenti finanziari (ex-promotori finanziari), ma gli analisti finanziari o tutti coloro che passano la vita davanti ai monitor di una grande banca d’affari. Consideriamo quanto è accaduto nell’arco di tre decenni: quando la borsa si gridava i “lavoratori” e gli investitori erano pochi; l’agente di cambio era un professionista che, coadiuvato da qualche collaboratore, dedicava alla sua attività poche ore della giornata lavorativa. Oggi sia il trader nelle sale operative sia il consulente (ex-promotore) che cura la clientela o lo junior che prepara prospetti informativi chilometrici si sottopongono a orari spaventosi per compensi reali spesso non lontani da quelli di un qualsiasi impiegato in una fabbrica manifatturiera. 
Se si riflette appena sul declino della forza lavoro nell’industria manifatturiera negli stessi anni, ci si accorge che la storia è più o meno la stessa: prodotti sempre più abbondanti e di qualità degradante, un consumo sempre più indotto, un impoverimento dei lavoratori/consumatori e, naturalmente, la crisi. Se persino io, che non ho certo una formazione da economista, mi scopro a fare queste considerazioni, mi chiedo come mai nessuna delle categorie direttamente interessate proponga qualche soluzione per invertire una rotta che sembra portare alla caduta dei margini e all’impoverimento progressivo anche della “classe media” dei lavoratori di questa industria. Né appare ragionevole pensare che l’autorità intervenga in qualche modo: da quanto si capisce i regolatori, non solo nazionali, hanno in mente ufficialmente, al fine di ridurre i conflitti di interesse, un sistema che tende ad eliminare le differenze di remunerazione tra i prodotti. Così si arriverà a un ulteriore livellamento della qualità e delle commissioni di collocamento.
Quanto alla Consob, da queste colonne un paio di mesi fa mi sono pronunciato, inutilmente, contro la modifica dell’art.108, comma 7, del Regolamento Intermediari vigente che comporta un ulteriore incremento del trading on line, ovvero di quel sistema che marginalizza ancora di più la figura del consulente (ex-promotore) nel processo distributivo. Credo che il motivo di tanta pace sociale sia il fatto che ciascuno ha la salda convinzione di non essere lui il soggetto marginale e comunque la speranza di finire con un colpo di fortuna tra gli eletti (ovvero i Profumo domani). È un po’ come partire da casa mia e andare verso Istanbul; ogni volta che ti fermi ti dicono che gli slavi (o gli zingari) sono sempre quelli più a est. Io non sono ottimista: se analizziamo l’andamento delle retribuzioni di una delle figure della distribuzione una volta più ambite (ovvero l’area manager che guadagnava anche due o tre volte lo stipendio dell’amministratore delegato) scopriamo facilmente che il rapporto tra compensi e asset under management del gruppo coordinato è precipitato senza soluzione di continuità negli ultimi due decenni. Potremo dire che è una figura sempre più inutile, ma allora perché veniva così lautamente compensato prima?
Forse perché allora gestiva uomini, i famosi “consulenti”, mentre adesso sembra che ci sia solo bisogno di gente che preme dei bottoni. Identico ragionamento si può fare per altre figure professionali: la progressiva riduzione dell’autonomia e la parcellizzazione delle funzioni nell’organizzazione bancaria da anni rende superflue le competenze generali di manager di esperienza in favore delle ben più economiche competenze specialistiche di un giovane appena uscito con il massimo dei voti dall’università. In questo quadro, se non cambia qualcosa, significa solo che la prossima crisi è più vicina.

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