Prima di perdere i giocatori, anche il mercato finanziario farebbe bene a tararsi sui nuovi tempi, introducendo comportamenti e regole per governare il suo ridimensionamento.
Ogni tanto credo sia opportuno prendersi una piccola pausa ed alzare il capo dall’esame delle minute fattispecie e delle norme di dettaglio per dedicare qualche attimo di riflessione ai temi che fondano il mondo della finanza e in generale le scelte di ciascuno di noi.
Il dibattito che su di essi si è avviato nel profondo della società, soprattutto europea, e si è acce-lerato in sincrono con la crisi di questi anni, non sembra infatti aver minimamente interessato il settore finanziario che si muove, ragiona e produce esattamente come prima; anche se con tanti freni a mano tirati.
Mi riferisco in particolare ai mo-delli di vita sempre più diffusi o (se non abbiamo paura delle parole) a quelle ideologie che pur non esprimendo una posizione direttamente antagonistica al sistema capitalista, respingono alcuni dei valori impliciti ed essenziali al suo funzionamento come il consumo e lo sviluppo.
Le teorie e le pratiche di decrescita, autoproduzione, riduzione del lavoro, nuova etica etc…non sono più dei bizzarri fenomeni di stampo ecologista ma, a mio avviso, uno dei componenti di quel nuovo sistema di valori che ha già cominciato a formarsi: come organismi primordiali si agitano nel pantano del declino del sistema per svilupparsi in una nuova forma sconosciuta che alla fine si imporrà.
Non solo il povero Sergio Marchionne, ma nemmeno l’impersonale e onnipotente “mercato” hanno alcuna possibilità di vincere con chi rifiuta di giocare con loro: senza i giocatori meglio mettere via il Monopoli piuttosto che ostinarsi a edificare su “Parco della Vittoria”.
Ma veniamo al nostro habitat; l’idea di accumulazione della ricchezza e del legittimo e primario bisogno di ricavare utilità dalle proprie disponibilità finanziarie sta alla base dell’investimento: i risparmiatori sono tali perché accantonano parte delle loro disponibilità liquide e gli investitori sono tali perché perseguono
l’obiettivo di guadagnare dai loro risparmi (o quantomeno preservarne il potere d’acquisto).
Nel momento in cui queste esigenze, che solo in parte sono “naturali” dovessero appannarsi, qualcuno comincerà a chiedersi perché investire e, conseguentemente, rischiare.
Già oggi, a pensarci bene, comprare dei fondi monetari che nemmeno rendono abbastanza per proteggere dall’inflazione, per poi rischiare di trovarseli pieni di carta nel credit crunch prossimo venturo, non appare una gran scelta.
Prima di perdere i giocatori, anche il mercato finanziario farebbe bene a tararsi sui nuovi tempi, introducendo comportamenti e regole per governare il suo ridimensionamento.
Con tutta evidenza non abbiamo una piazza inferocita che chiede la testa dei manager responsabili della crisi che, inutile negarlo, è tutta finanziaria, ma non trovo questa constatazione particolarmente rassicurante. Chi si è arricchito, in modo talvolta esorbitante, ovviamente senza commettere reati, lo ha fatto perché ha interpretato meglio di altri dei valori condivisi e non può o deve temere nulla; tuttavia se il consenso su tali valori dovesse affievolirsi e venir meno, la rivoluzione delle idee sarebbe ancora più fatale di quella delle armi.
Un ridimensionamento del settore appare certamente opportuno e le direttrici fondamentali di tale cura dimagrante dovrebbero essere imposte in primis da interventi normativi che tuttavia il le-gislatore nazionale e comunitario non sono in grado, per diverse incapacità culturali, di fare.
Eppure una drastica riduzione delle dimensioni, delle strutture anche distributive, delle complessità giuridico-finanziarie, dei profitti doveva essere messa in atto da subito.
La crisi ha indubbiamente svolto una parte di tale compito espellendo, o punendo, i soggetti meno tutelati, ma non ha colpito i meccanismi e le logiche di potere che rischiano di finire un po’ alla volta fuori sincrono con la realtà e quindi divenire, in qualche modo, “criminali”.
La visione che ho espresso può sembrare apocalittica e improbabile, ma nella nostra epoca i processi di diffusione delle idee sono estremamente rapidi e anche
sistemi robusti vengono spazzati via in un batter di ciglia: si pensi a quanto poco è bastato ai tunisini per liberarsi di 25 anni di dominio assoluto di Zine El-Abidine Ben Ali. Se nessuno sale più sul treno resterà solo un inutile padrone del vapore a tirare la cordicella della sirena della locomotiva.
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