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8/6/2024 | Daniele Barzaghi
La tutela, intesa come protezione e salvaguardia, rappresenta un concetto centrale in molteplici ambiti del diritto, della sociologia, dell’economia e delle scienze esatte e naturali, per non menzionare le implicazioni politiche e filosofiche. È insomma un insieme di misure e strumenti volto a preservare persone, diritti e beni da potenziali danni o minacce, che assume forme diverse a seconda del contesto in cui viene applicato, ma in ogni caso è volto a garantire un equilibrio tra libertà individuali e responsabilità collettive.
Per private banker e wealth manager è un concetto familiare, a partire dal costante richiamo alla trasparenza delle informazioni da fornire ai clienti riguardo ai servizi offerti, dai dettagli sui costi ai rischi associati, fino ai potenziali rendimenti. La MiFID II ne ha ribadito l’importanza a chi se ne era scordato. Per chi ancora ne è dimentico resta il controllo degli enti preposti, rappresentati ad esempio in Italia da Consob in ambito borsistico e Ivass in campo assicurativo.
Le polizze naturalmente rappresentano i prodotti più emblematici quando si ragiona di tutela e, anche per questo, hanno accompagnato fin dall’origine il mondo della consulenza finanziaria e patrimoniale in particolare nel nostro Paese; sono sempre state uno strumento inderogabile nella gestione delle esigenze economiche e psicologiche della clientela.
Nonostante simili premesse, che farebbero pensare a un costante successo e irrobustimento di queste soluzioni, l’Italia è sempre stata mercato complesso per le strategie difensive di natura assicurativa, perché la protezione è sempre stata affidata a più primitivi strumenti, come liquidità nei conti correnti o patrimonio immobiliare. Oltre che a una fin troppo celebrata e compiaciuta scaramanzia da operetta.
Secondo i dati Ania, Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici, tolte le RC Auto, gli italiani sono garantiti in media per 300 euro l’anno: gli spagnoli per 600, i tedeschi per 900, i francesi per 1.200 e gli olandesi per 1.600.
Nell’analizzare i dati di raccolta dell’ultimo anno ottenuti dai prodotti assicurativi distribuiti a clienti di fascia private (segmento per cui ancora manca la cifra di investimento procapite in polizze) si nota una flessione dell’1,6%, pari a circa 12 miliardi di euro, secondo i dati ufficializzati dall’Associazione Italiana Private Banking.
E colpisce come la misurazione sui grandi patrimoni sia in controtendenza rispetto a quella offerta degli altri operatori (banche commerciali, assicurazioni, poste) che servono l’intera popolazione nazionale: la loro raccolta è invece in rialzo tendenziale del +3,2%.
I prodotti assicurativi impiegavano a inizio anno il 19,9% delle masse investite da cittadini con patrimoni finanziari superiori ai 500.000 euro, con una riduzione di quota (rispetto al 22,5% di inizio 2023) dovuta largamente al successo del risparmio amministrato (in primis i titoli di Stato) e al perdurante livello alto dei tassi di interesse che penalizza il settore dei mutui, non estraneo a quello delle protezioni.
Sembra un paradosso ma la maggiore disponibilità di strumenti di investimento per questo segmento di clientela e la costanza e capillarità di servizio del modello italiano di private banking (forte di ben un appuntamento mensile di aggiornamento tra banker e assistito) potrebbe danneggiare un comparto come quello delle polizze, strategico per il benessere dei cittadini così come per l’industria.
I private banker italiani contribuiscono decisamente all’educazione finanziaria degli investitori e proprio questo irrobustimento culturale potrebbe generare una sofisticazione tale da allontanare dalle priorità.
D’altronde c’è un professionista che costantemente monitora l’andamento degli investimenti; molto più di quanto avvenga per la clientela di fascia affluent.
Eppure, vantare almeno un 20% di polizze di Ramo I appare molto opportuno per un investitore: riduce la componente di volatilità connaturata ai mercati e offre una copertura particolarmente adatta all’alta età media del cliente private italiano.
L’estensione del concetto di protezione, dal pure ambito del patrimonio finanziario a quello della salute (in senso ampio) del nucleo familiare, è da tempo divenuta linea di sviluppo strategica del private banking italiano, come spesso ricordato dallo stesso presidente di AIPB. “Come operatori dell’industria abbiamo organizzato numerosi approfondimenti sul tema, intraprendendo anche un percorso dedicato alla private protection, insieme con Accenture” risponde Andrea Ragaini (nella foto all'inizio dell'articolo), interpellato da Advisor Private. “Obiettivo è innanzitutto aiutare i private banker a capire che ruolo strategico possano avere. Perché finora qualcosa è mancato”.
“Questa evoluzione implica l’uscire dall’ambito Vita tradizionale, percorrendo il tema Salute e approcciando anche il Danni, considerato da sempre laterale alla nostra industria” prosegue il presidente. “Le grandi assicurazioni italiane, oggi egemoni in questi comparti, non hanno mai sviluppato - probabilmente consapevolmente - una segmentazione della clientela così puntuale come abbiamo fatto noi private banker. E, proprio a partire da questa nostra posizione di vantaggio, riteniamo di avere grande valore da esprimere in questo mercato. È convinzione diffusa tra tutti i leader del wealth management nazionale”.
Certo, l’interesse dei responsabile delle divisioni private e wealth italiane sarà anche marcato, ma l’offerta appare ancora molto limitata. “Perché per fare opportunamente protezione” ribatte Ragaini “è necessario formare molto bene le reti commerciali. E il processo richiede tempo”.
Il vantaggio rispetto alle assicurazioni è indubbio. Le compagnie lasciano oggi agli agenti la segmentazione della clientela e dell’offerta commerciale, pur prevedendo in gamma diversi livelli di prodotti. Per quanto riguarda la casa esistono ad esempio soluzioni che coprono soltanto i casi di furto ma vi sono anche servizi di intervento per ogni tipo di malfunzionamento; servizi che spesso si attivano addirittura in automatica. E non è diverso il contesto medico, con tutele base che indennizzano in caso di infortunio a formule di prevenzione costante con tanto di check up, teleconsulti o concierge medico dedicato. Non a caso si spazia tra offerte dai 50 ai 20.000 euro annui.
Tale segmentazione di prodotto non è tradotta in linee guida da parte delle direzioni commerciali delle compagnie assicurative, delegando appunto agli agenti sul territorio l’individuazione e la proposta della soluzione più consona: insomma c’è segmentazione di prodotto, ma non di clientela, nonostante evidentemente le coperture debbano essere commisurate a ogni diversa pianificazione di vita.
“Se è vero che un portafoglio d’investimento ben diversificato è sicuramente essenziale per ridurre l’esposizione a una singola classe di attività, settore o regione” ricordava Alberto Martini, direttore Wealth Management di Banca Mediolanum in un suo recente intervento su AdvisorOnline.it, “tuttavia è anche cruciale capire che la diversificazione può arrivare solo fino a un certo punto. Colmare il divario tra le esigenze di assicurazione e quelle di investimento è la chiave per la serenità finanziaria e patrimoniale: permette di semplificare la propria pianificazione, ottenendo così un migliore controllo sul proprio futuro”.
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