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6/20/2024 | Marcella Persola
Le sue opere hanno attraversato i più noti red carpet del pianeta. E seppure i comuni mortali associno quelle scarpe e quegli accessori ai più noti brand della moda patinata (non possiamo citarli per accordi di riservatezza, ndr), dietro questi prodotti si nasconde un’impresa tutta italiana che realizza calzature di alta moda dal dopo-guerra.
Stiamo parlando del calzaturificio Cesare Martinoli - Caimar, nato nel 1944 quando Cesare Martinoli, giovane dirigente di una delle più grandi realtà calzaturiere a livello nazionale, decise di fondare una propria azienda insieme alla moglie Carolina e ad alcuni colleghi. A raccontare la storia è il figlio Massimo Martinoli (in foto), oggi alla guida dell’azienda, rappresentante della seconda generazione e che, seppure giovane, si prepara con i suoi tre figli a un nuovo passaggio generazionale.
“Da subito viene scelto il segmento della calzatura elegante da donna come prodotto di punta e proprio su tale caratteristica vengono effettuate costanti ricerche e continui investimenti” racconta Martinoli che ripercorre la storia del padre e sua.
“Fin dall’inizio mio padre ha dimostrato una forte lungimiranza decidendo di indirizzarsi verso l’estero. Già nei primi anni ‘50 buona parte delle calzature prodotte, venivano vendute fuori Italia, in spazi dove altri non erano presenti” ricorda Martinoli. E così le scarpe Caimar sono diventate famose in Europa e Stati Uniti. Erano gli anni in cui si viaggiava molto e si partecipava a numerose fiere. Poi però il mercato è cambiato.
“Negli anni ’80 i brand di alta moda hanno iniziato a capire che il settore era redditizio e che avrebbero potuto guadagnare di più allargandosi anche agli accessori” sottolinea Martinoli, che ha vissuto in prima persona questo cambiamento, essendo entrato in azienda proprio in quel periodo. “Da allora è stato più difficile continuare una produzione a marchio proprio, quindi abbiamo abbandonato la produzione di scarpe a nostra firma per dedicarci solo a rapporti di collaborazione con i brand della moda curando le linee dalla progettazione alla produzione” spiega Martinoli, che sottolinea come però nei momenti anche più critici, sia lui che suo padre, si siano lasciati guidare dall’intuizione, dall’osservazione del mercato e soprattutto dal non voler cedere sul fronte della qualità. Aspetti che non dovrebbero mai mancare anche a chi affianca tali professionisti che essendo abituati a dover studiare il mercato, ad essere innovativi e a non restare mai indietro, dedicano tutte le proprie risorse ed energie alla propria impresa.
Questo traspare nel racconto di Martinoli che racconta come negli anni in cui l’impresa era gestita dal padre, si trovava tutto nello stesso stabile. Casa e fabbrica. Così come è accaduto per molti altri, visto che la loro zona, Vigevano, era considerata la capitale mondiale della calzatura. Per questi imprenditori la “fabbrica” rappresenta il patrimonio di famiglia, ed è lì che hanno versato tutti i propri capitali, risorse e risparmi. Nella ricerca, nello sviluppo, nell’analisi, nel rendere il Made in Italy un fiore all’occhiello.
“Quasi 80 anni sono passati da quando fu prodotta la prima scarpa, ma alcuni dei più nobili principi costituenti non sono mai venuti meno, in particolare il perseguimento costante dell’eccellenza del prodotto e soprattutto lo spirito familiare e umano che accomuna ora come allora la nostra impresa” evidenzia Martinoli.
Questa della fabbrica Caimar potrebbe essere la storia di molti altri imprenditori dediti all’economia reale, quel Paese che trova ancora poco risvolto nella finanza, a volte se ne tiene lontana.
“Molte aziende come la nostra hanno accettato offerte da parte di fondi di private equity; anche io ho avuto qualche proposta, ma non si è mai concretizzata. Vado avanti con i miei figli e penso al passaggio generazionale verso di loro”. Ragazzi che hanno fatto esperienze trasversali in altri ambiti, come ha fatto anche Massimo Martinoli, che ricorda come suo padre gli diede l’occasione di “sbagliare” seppure la sua idea non si rivelò per niente un flop. “Ero convinto che oltre alle calzature dovessimo pensare anche alle borse, perché ai quei tempi c’era la moda di abbinare questi due accessori. Mio padre non era molto convinto della mia idea, ma mi lasciò sperimentare ed ebbe successo”. Questo permise a Massimo di dare un’impronta propria, di non essere solo “il figlio di”.
Ed è questo che lui si augura possa accadere anche ai suoi figli. Anche se il mercato oggi è molto difficile e complesso. “Spero che abbiano la possibilità di continuare a lavorare in modo indipendente. E che puntino sulla qualità. Anche se il mondo è molto cambiato, abbiamo la responsabilità di un’impresa da portare avanti, per noi, per i nostri dipendenti”. Infatti le sfide sono molte: la filiera sostenibile, con la certificazione di tutti i fornitori e la loro tracciabilità, nonché i cambiamenti che stanno attraversando il mercato.
Un mercato che anche nel 2024 chiuderà con numeri non certo brillanti, ma che ritroverà nuova linfa probabilmente nel 2025. E per poterlo affrontare, secondo Martinoli, bisogna continuare a diversificare: un principio cardine che ad esempio del mondo degli investimenti, combinando assieme sia brand affermati, ma anche puntando su brand emergenti, che possano rivelarsi successivamente delle “scommesse vincenti”.
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