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7/18/2024 | Marcella Persola
Le famiglie con portafogli di minore importo (meno di 50.000 euro) sono orientate soprattutto verso i fondi comuni, mentre quelle più abbienti (oltre i 500.000 euro) si indirizzano maggiormente verso le azioni quotate e ottengono guadagni percentuali in conto capitale più elevati rispetto alle altre, anche tenendo conto della diversa rischiosità dei portafogli. E' quanto emerge dal Banking Supervisory Reports di Banca d'Italia.
L'analisi considera obbligazioni, azioni quotate e quote di fondi comuni detenuti dalle famiglie tra il 2012 e il 2023. E sebbene come evidenziano gli esperti i dati dello studio non consentano di analizzare l'intero portafoglio di attività finanziarie, rappresentano però una fonte statistica unica per studiare le caratteristiche distributive della ricchezza finanziaria delle famiglie, distinguendo tra diverse categorie di prodotti finanziari.
Nel periodo di analisi (2012-2023), emerge che l'ammontare complessivo delle obbligazioni ordinarie non governative detenute dalle famiglie è diminuito di quasi dieci volte, passando da 300 miliardi di euro a 31 miliardi di euro, mentre le quote di fondi comuni di investimento sono diventate una componente importante, passando da 185 a 474 miliardi di euro. Insomma verrebbe da pensare che gli italiani abbiano smesso i panni da BOT-people.
Una dinamica differente, infatti, hanno vissuto i titoli di Stato che sono diminuiti fino al 2021, per poi quasi raddoppiare nel 2023. Nel 2012 la maggior parte delle obbligazioni non governative era detenuta dalla seconda classe, caratterizzata da detenere tra i 50.000 e i 250.000 euro; da allora, questa classe - come la prima (fino a 50.000) - ha diminuito sensibilmente il patrimonio obbligazionario e ha aumentato gli investimenti sia in titoli italiani che in titoli di Stato e le quote di fondi di investimento dell'UE.
Secondo lo studio la relazione tra la quota investita in titoli di Stato e le classi d'importo mostra un andamento a U rovesciata: la quota aumenta dal 21,7% per la prima classe (con ricchezza fino a 50.000 euro) fino a un massimo del 28,7% per la classe con un ammontare in essere compreso tra 500.000 e 1 milione, per poi scendere al 19,7% per la classe con più di 5 milioni.
Ma se l'investimento in Titoli di Stato ha tale andamento, cosa possiamo osservare per il mondo del risparmio gestito. Lo studio evidenzia come gli investimenti in quote di fondi comuni di investimento diminuiscono con il totale delle partecipazioni in SSF, passando dal 56,1% per la prima classe (fino a 50.000) al 30,6% per la classe più ricca (oltre 500.000). Tuttavia, questa riduzione riguarda quote di fondi comuni di investimento italiani, mentre la quota investita in fondi comuni di investimento UE resta circa il 30% fino alla classe con ricchezza compreso tra 1 e 5 miliardi.
Le azioni ordinarie rappresentano un'ampia frazione dei portafogli delle famiglie ricche, raggiungendo quasi un quarto del portafoglio complessivo per la classe più ricca. Inoltre, per questa classe, quasi un quinto del portafoglio è costituito da altri prodotti finanziari, come ETF e cartolarizzazioni.
La composizione del portafoglio per classe di importo è cambiata molto nel periodo analizzato. Abbiamo visto come i titoli di debito diversi dai titoli di Stato rappresentavano più della metà del portafoglio delle prime due classi nel 2012 e come la percentuale è scesa in modo impressionante fino al 2021, a circa il 10%, un livello simile per tutte le classi di importo.
Questi investimenti sono stati sostituiti da quote di fondi di investimento, triplicando in pochi anni, tra il 2012 e il 2018. Questa sostituzione tra titoli di debito e quote di fondi di investimento emerge anche nelle classi più ricche. Infine si può osservare che la classe più ricca ottiene maggiori guadagni in termini di partecipazione rispetto alle altre classi, e questo fatto potrebbe essere dovuto a una maggiore educazione finanziaria e/o a un più facile accesso ai servizi di consulenza finanziaria.
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