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Mercati, Usa e Giappone uniti dal problema debito

5/19/2011 | Redazione Advisor

Secondo l'outlook della casa di gestione Raiffeisen Capital Management i mercati emergenti sono da monitorare.


I mercati azionari dei mercati emergenti sono penalizzati dall'inflazione sempre più elevata, dall'aumento dei tassi di interesse e dalla pressione sui margini di guadagno di molte imprese. Questa l'idea espressa da Raiffeisen Capital Management.

Mentre sugli USA incombe nel medio periodo la minaccia di perdere la valutazione di massima solvibilità – i mercati finanziari e il governo non sembrano (per il momento) molto impressionati. 

Nel dettaglio nei mercati emergenti le azioni hanno presentato un andamento differenziato ad aprile. Mentre soprattutto in America Latina e in Asia ha dominato una tendenza di base piuttosto debole, l'Europa orientale si è distinta positivamente con rialzi delle quotazioni in parte notevoli. 

 

La maggior parte dei mercati emergenti in Asia e in America Latina non è riuscita a sfruttare le

premesse persistentemente positive del mercato azionario statunitense. I principali fattori

penalizzanti sono stati: tassi di inflazione in salita, minaccia o attuazione di ulteriori innalzamenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali e prezzi elevati delle materie prime. 

 

Questi ultimi sono un'arma a doppio taglio per i mercati emergenti: mentre gli esportatori di materie prime sono fortemente avvantaggiati, il continuo lievitare dei costi dei materiali di base e delle materie prime si ripercuote già in modo sensibilmente negativo sui margini di guadagno di molte imprese dei mercati emergenti.

 

Intanto l'emergenza nucleare giapponese è rapidamente uscita dall'attenzione degli investitori, non appena si è avuto la sensazione che la situazione non avrebbe subito ulteriori aggravamenti. Dal

punto di vista dei mercati finanziari è scongiurato per adesso il rischio maggiore (e

praticamente incalcolabile) per il mercato azionario giapponese. Rimane naturalmente in tutta la

sua gravità il problema più grosso nel medio e lungo termine, ovvero l'enorme debito statale

giapponese. Ma nel breve periodo, molto probabilmente, non dovrebbe scaturire su questo fronte

un potenziale di rischio acuto, che potrebbe presentarsi piuttosto nei prossimi anni.

 

Lo stesso vale, in misura ridotta, per la solvibilità degli USA. L'agenzia di rating S&P ha lasciato trapelare che incombe sugli USA niente meno che una minaccia di perdita della tripla A nel corso dei prossimi anni. La reazione dei mercati, in ultima analisi, è stata pari a zero. Ovviamente la problematica che si pone ha una portata d'interesse generale: se gli USA, come superpotenza mondiale e come detentori della valuta di riserva mondiale, dovessero perdere la massima valutazione di solvibilità, chi si meriterebbe ancora il rating massimo, ovvero che valore potrebbe ancora avere il rating massimo? E per quanto tempo ancora il dollaro USA può rimanere la valuta di riserva mondiale, se supportato da una solvibilità sempre più vacillante? Quest'ultimo fattore non sembra affatto estraneo alla turbinosa salita dei prezzi dell'oro e dell'argento. I metalli preziosi sono sempre più oggetto di considerazione e di

riscoperta come valuta in tutto il mondo – in particolare anche nei mercati emergenti come Cina e

India.

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