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Consulenti (ex-promotori): attenzione al debito emergente

12/4/2012

E' questo l'allarme lanciato da Mike Riddell, gestore di M&G, riferendosi alla attuale situazione del Sud Africa che, ad un passo dal rating spazzatura, rischia di coinvolgere tutto il mercato emergente.


I preoccupanti sviluppi degli ultimi mesi in Sudafrica hanno attirato l’attenzione di agenzie di rating e mercati.

"Il Sudafrica è uno dei pochissimi Paesi emergenti il cui merito di credito sta peggiorando; ufficialmente, rientra ancora nella categoria investment grade, ma a nostro parere dovrebbe essere declassato a junk bond – e le valutazioni non ne tengono conto. Considerato che il Paese ha un peso del 10% nei comuni indici di riferimento del debito emergente in valuta locale, la questione è tutt’altro che irrilevante" ha commentato Mike Ridell di M&G Emerging Market Bond spiegando come il mercato e le agenzie di rating continuino a sottovalutare vari aspetti.


1.Sostenibilità del debito

Un rapporto fra debito del governo centrale e PIL intorno al 43% – o al 60% comprese le garanzie fornite alle aziende di Stato – può sembrare gestibile, ma il dato non riflette le crescenti passività di amministrazioni locali e municipali. Come in Grecia e in Italia, tali arretrati possono rappresentare una porzione significativa del “debito” pubblico, solitamente ignorata dalle statistiche ufficiali.


2. Limitato margine di bilancio
Secondo uno studio di Fitch, il 90% della spesa pubblica sudafricana è destinata alle partite correnti, come retribuzioni, sussidi e interessi: resta quindi ben poco da stanziare agli investimenti a lungo termine a favore di una crescita sostenibile.

Nello stesso tempo, risulta limitata la capacità di assorbire un eventuale marcato aumento dei costi di finanziamento o possibili shock esogeni.
In questo contesto, il fatto che il 90% del debito pubblico sia denominato in valuta locale indica una minore vulnerabilità a una brusca variazione del tasso di cambio. Tuttavia, ora che buona parte del debito è in mani straniere, la volatilità dei cambi potrebbe avere un impatto notevole sulla capacità di rifinanziamento del Sudafrica.

 

3. Il sostegno implicito al settore bancario aumenta il passivo dello Stato
Un’altra questione critica riguarda la separazione fra Stato e settore bancario.
Sinora l’opinione pubblica e molti investitori hanno sempre dato per scontato l’appoggio del governo ai cinque maggiori istituti di credito, che insieme rappresentano il 90% dei depositi. Di qui, il ritardo nell’introduzione di assicurazioni sui depositi, per non parlare di riforme di sistema come quella relativa ai regimi di risoluzione. Il settore bancario, quindi, resta essenzialmente una “sopravvenienza passiva” nel bilancio dello Stato.

Le banche locali hanno a loro volta contratto forti debiti all’ingrosso e acceso prestiti a breve scadenza, sviluppando una notevole dipendenza dai depositi monetari in valuta locale di assicuratori e fondi pensione interni. Tali soggetti hanno così assunto una massiccia esposizione al settore bancario, confidando appunto nell’intervento del governo, se necessario.
 

Il Sudafrica si sta gradualmente rendendo conto che non può proseguire questa politica di implicito sostegno alle banche e nello stesso tempo mantenere il rating investment grade: le due cose sono incompatibili, come hanno scoperto anche tanti Paesi europei. Tuttavia, l’introduzione di un programma di risoluzione che eviti al contribuente di farsi carico delle banche richiede una radicale riforma strutturale, che contempli l’assicurazione sui depositi, la conversione delle passività all’ingrosso e una riduzione del bilancio, tutte misure certamente impopolari nell’immediato.

 

4. Deficit delle partite correnti
Nonostante il boom delle commodity dello scorso decennio, e nonostante il fatto che il 42% delle esportazioni attuali è costituito da materie prime, dal 2003 il Sudafrica presenta un disavanzo delle partite correnti. Per di più, la mancanza di investimenti in settori chiave come quello minerario non solo ha causato recenti proteste dei lavoratori, ma ha anche contribuito a un calo della produttività e della competitività proprio in aree vitali per l’economia sudafricana. Nel frattempo, il consumo di prodotti finiti di importazione è progressivamente aumentato in seguito al calo della produttività interna in questi ambiti. La sempre maggiore dipendenza dalle esportazioni di oro, che rappresentano il 25% del totale, nonché dalla Cina, verso cui si dirige il 15% dell’export, rendono il Paese sempre più vulnerabile a eventuali shock esterni.  


Se il Sudafrica venisse declassato, che cosa succederebbe sui mercati obbligazionari emergenti?
 

In termini di effetti diretti, data una ponderazione del 10% nell’indice del debito emergente in valuta locale, un’ipotetica flessione del 10% per il rand e del 5% per i prezzi delle obbligazioni comporterebbe una perdita dell’1,5%.

L’impatto sugli indici del debito sovrano in valuta estera e dei corporate bond sarebbe invece inferiore in quanto è minore il peso del Sudafrica in tali benchmark (solitamente il 2-4%).

Gli effetti indiretti non sono quantificabili; nella migliore delle ipotesi verrebbero colpiti altri Paesi africani (molti dei quali con deficit delle partite correnti anche più ampi), che però rappresentano appena una piccola parte degli indici del debito emergente. Gli investitori potrebbero inoltre riscoprire i rischi idiosincratici delle piazze emergenti e altre regioni sarebbero contagiate.


Non sopravvalutiamo quindi i rischi sistemici e ricordiamoci che sulla performance dei mercati obbligazionari emergenti pesano molto di più l’eurozona, gli USA e la Cina che il Sudafrica. Ma il messaggio è chiaro: il debito emergente non è poi così sicuro.

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