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Ucraina: i calcoli economici che giocano contro la Russia

3/7/2014

Da quando è iniziata la crisi i paragoni sui conflitti internazionali si sono sprecati, ma in pochi si sono soffermati sulle reali dimensioni dell'economia del paese, avverte Donatella Principe, responsabile institutional business di Schroders Italia


Gli investitori hanno puntato i riflettori sulla situazione Ucraina e sulle possibile conseguenze sui mercati azionari e obbligazionari. Di seguito un commento a cura di Donatella Principe (nella foto), responsabile institutional business di Schroders Italia.

Da quando è iniziata la crisi in Ucraina i paragoni sui conflitti internazionali si sono sprecati: c'è chi assimila la situazione all'annessione del Sudetenland da parte della Germania nel 1938, chi la considera la peggiore crisi dalla fine della Guerra Fredda e chi valuta questa crisi meno complessa di quella che coinvolse Russia, Georgia e Ossezia nel 2008. L'unico punto chiaro che se ne evince è che la situazione politica è incerta ed estremamente fluida; sebbene emerga un forte consenso sulla possibilità di una via diplomatica alla soluzione del potenziale conflitto.

Uscendo dalle cancellerie e spostando l'attenzione alle ripercussioni sui mercati finanziari è importante in queste circostanze misurare la dimensione reale e quella moltiplicativa dei fenomeni, per poterne trarre indicazioni di portafoglio; visto che anche in questo caso i paragoni con l’andamento delle borse dopo la Guerra del Golfo e la Crisi dei Missili a Cuba sono diventati quotidiani. All'apparenza, infatti, la dimensione economico-finanziaria dell'Ucraina dovrebbe essere tale da non destare alcuna preoccupazione: il paese vale appena lo 0,2% del PIL mondiale, solo il 3% del debito emergente e ha un mercato azionario che rispetta appena i criteri per essere considerato Frontier Market, nel cui indice ha un peso appena dello 0,13%, con solo un titolo veramente liquido.

Gli stessi crediti bancari esteri si attestano allo 0,1% del totale su base mondiale. La situazione però cambia completamente se si guarda all'Ucraina nel suo ruolo come attore nel settore delle Commodities, sia come esportatore di materia prime agricole sia come snodo per il trasporto di quelle energetiche. Dall'Ucraina proviene infatti il 16% del grano e il 6,5% del frumento mondiali, facendone rispettivamente il terzo e il sesto esportatore globale. Ma ancor più rilevante può rivelarsi il suo ruolo come area di passaggio del gas che dalla Russia si muove verso l'Europa.

Ovviamente le ricadute di ogni blocco di questo flusso su capacità produttiva e inflazione per il Vecchio Continente sarebbero non trascurabili ed è soprattutto questa la preoccupazione alla quale guardare e il tema eventualmente da hedgiare nei portafogli. D'altra parte eventuali vantaggi per la Russia, connessi soprattutto con un incremento delle quotazioni del gas, rischiano di essere limitati. Il paese invia verso l'Europa il 50% del proprio gas, che rappresenta però il 100% della produzione non-LNG. Questo vuol dire che la Russia ha limitati margini di compensazioni delle esportazioni verso l'Europa con quelle verso l'Asia, che sono di tipo LNG. Esse, infatti, sono soggette ai limiti strutturali degli impianti di liquefazione e gassificazione.

Né d'altra parte la Russia potrebbe trarre vantaggio nelle esportazioni verso l'Asia dal rialzo a doppia cifra registrato dal prezzo del gas, in quanto i contratti LNG hanno tipicamente durate dai 10 ai 15 anni. I vantaggi sarebbero semmai per altri esportatori di gas, come Canada, Qatar e Algeria. Sul fronte del petrolio la Russia è il primo produttore al mondo e il secondo esportatore dopo l'Arabia Saudita; la cui destinazione privilegiata (60% del totale) è ancora una volta l'Europa. Anche in questo caso ogni limitazione di questi scambi avrebbe vantaggi per la Russia in termini di rialzo del prezzo del greggio che non bilanciano però rischi che vanno ben al di là della semplice considerazione che il 50% delle sue entrate derivano dall'esportazione di materie prime energetiche.

Basta considerare che mentre l'Europa pesa per il 50% di tutti gli scambi commerciali della Russia, la Russia vale appena il 10% del commercio estero dell'Unione Europa. Non appare quindi strano che i sondaggi diano al 73% la quota di russi contrari a un'escalation militare in Ucraina. Né d'altra parte sull'altro fronte il pragmatismo della diplomazia internazionale potrà trascurare fattori di peso come la commessa francese con la marina russa da 1,4 miliardi di euro. Il bilancio della probabilità in queste situazioni è spostato verso una soluzione di compromesso che fa balenare nella mente degli investitori la possibilità di una buying opportunity; mentre sembra riecheggiare il famoso consiglio di Nathan Rothschild d'iniziare a comprare al suono del primo sparo.

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