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9/25/2018 | Redazione Private
Il futuro della Non Performing Exposure (NPE) passa per nuovi player, tra i quali i fondi d’investimento, banche e altri operatori specializzati; gli strumenti tradizionali di gestione della crisi di impresa, pur innovati dalle riforme legislative degli ultimi anni, mantengono profili di inefficienza soprattutto per la gestione degli Unlikely To Pay (UTP, probabili inadempienze, ndr); l’acquisizione della NPE delle banche da parte di fondi di turnaround potrebbe rappresentare un motore della ripresa industriale italiana e al contempo un supporto ai processi di riduzione delle esposizioni deteriorate del sistema bancario.
È quanto è emerso dal convegno ‘La Non Performing Exposure delle banche: il ruolo dei fondi comuni di investimento e altri strumenti di gestione efficiente di NPL e UTP’. Organizzato a Milano da Fivelex Studio Legale, l’evento ha riunito esperti e player del settore per dibattere di opportunità e criticità per il private equity e altri player specializzati nella gestione dell’esposizione bancaria, anche alla luce degli interventi della Bce e dell’EBA-European Banking Authority. Francesco Canzonieri (Mediobanca), Enrico Fagioli (Spaxs Illimity), Federico Ghizzoni (Clessidra SGR), Vincenzo Manganelli (DeA Capital Alternative Funds), Salvatore Maccarone (Presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi e of counsel di Fivelex), insieme ai partner dello Studio Alfredo Craca, Francesco Di Carlo e Claudio Tatozzi hanno tracciato lo scenario del settore e ipotizzato sviluppi futuri.
La NPE delle banche italiane, dopo il loro forte aumento negli anni della crisi, ha iniziato a ridursi costantemente a partire dal 2016. Per completare il processo di smaltimento dei crediti deteriorati degli istituti di credito italiani nei tempi che sarebbero opportuni emerge la necessità di iniziative di più ampio e l’intervento di operatori finanziari, con forti competenze nei processi di rilancio delle aziende, che affianchino le banche e le imprese nel complesso percorso di sistemazione di situazioni deteriorate.
Oltre alle banche e ad altri operatori specializzati, tra i nuovi player si nota l’affermazione dei fondi d’investimento. In questo, ha rilevato Alfredo Craca di Fivelex, “l’ingresso dei fondi, se da un lato risolve il problema delle aziende dal punto di vista della ristrutturazione dell’indebitamento e del rilancio del mondo delle imprese bloccato dal difficile accesso al credito, è al contempo uno degli strumenti per risolvere il problema della Npe delle banche”. Queste, cedendo i propri crediti deteriorati, “si liberano della qualifica di creditore, pongono termine alla propria perdita sul credito, in taluni casi realizzano una ripresa di valore e infine – afferma Craca – non devono accordare nuova finanza come strumento di protezione dell’esposizione esistente”.
Il fondo può dunque essere uno strumento virtuoso per gli attori coinvolti (banche creditrici, imprese debitrici e altri stakeholders) e può contribuire a rilanciare le imprese in un’ottica di medio-lungo termine, grazie a un approccio all’investimento specializzato, non solo finanziario, ma anche industriale. Un mercato di grande potenzialità, soprattutto nel segmento degli UTP, per i fondi di special situations, che ha visto già nel 2017 una crescita di investimenti pari al +68% per ammontare (Fonte: AIFI, 2018).
L’analisi dei relatori intervenuti all’evento ha volto più in generale uno sguardo alla variegata gamma di strumenti di gestione della NPE a disposizione delle banche, sul presupposto che non esiste a priori una soluzione adatta e che la misura e forma tecnica di intervento va scelta di volta in volta in funzione di svariati fattori e varia a seconda delle diverse asset class oggetto di intervento (NPL o UTP).
“A fianco degli Npl si è aperto il mondo degli Utp che è molto interessante”, ha sottolineato il vice presidente esecutivo di Clessidra Sgr Federico Ghizzoni, evidenziando come si sia “agli inizi” e si tratti di “un approccio molto diverso perché non parliamo di recupero crediti ma di gestione del credito”. Per l’ex a.d di Unicredit si tratta di un “mercato potenziale importante sia per quanto riguarda lo stock esistente ma anche per il futuro perché non bisogna dimenticare che con le nuove normative bancarie ogni credito classificato se non ha garanzie particolari entro due anni deve essere coperto al 100%. Penso che le banche cercheranno interlocutori su base continuativa”.
In alcuni casi, la conversione del debito in equity può essere la soluzione: le PMI che compongono il tessuto economico del Paese non riescono a far fronte al debito a causa della crisi; al contempo, sono di grande appeal a livello internazionale per storia, qualità e pricing. È qui che gli operatori del private equity decideranno di investire sempre di più, mutando lo scenario del ricorso prevalente al finanziamento bancario che caratterizza il mercato italiano del credito.
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