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5/27/2024 | Danilo Surdi e Carlos Rosquet Martinez (in foto), dello studio DLA Piper
L'eredità del boom economico italiano costituisce tuttora l’ossatura industriale del nostro Paese. Nasceva, in quegli anni, la manifattura italiana, basata sulla business idea, sullo spirito imprenditoriale, sulla forza lavoro sua e dei suoi familiari e su una tecnologia meccanica. Naturalmente era un modello di business semplice e, per certi versi, fragile.
Queste realtà aziendali, a partire dagli Anni ’90, dovettero misurarsi con le turbolenze macroeconomiche che investirono i Paesi industrializzati. Fu allora che le scienze giuridiche-economiche iniziarono a studiare il passaggio generazionale visto come il processo tramite il quale la famiglia e l’impresa scelgono il nuovo leader.
Si poneva dunque il problema di individuare gli strumenti giuridici adeguati a coniugare la necessità di modificare l’assetto proprietario e di governance, senza perdita di valore, con le aspettative di tutti i discendenti e la volontà di salvaguardare l’unità familiare.
Il caso di scuola riguardava l’imprenditore che, giunto al fisiologico momento di stanchezza, doveva riconoscere che nessuno dei suoi discendenti potesse o volesse condurre l’impresa che lui aveva avviato. La scelta di discontinuità per quell’imprenditore appariva obbligata: la cessione del controllo dell’impresa, la divisione del ricavato tra i discendenti, lasciando loro il capitale ma salvando l’azienda.
Per le imprese italiane si apriva così il mercato del private equity e M&A capace, da un lato, di favorire la continuità della gestione aziendale e, dall’altro, di managerializzare le imprese familiari per il tramite di nuovi modelli organizzativi e l’apertura al processo ed avanzamento tecnologico, entrambi necessari alla competizione.
La realtà odierna non si discosta in maniera sensibile dalla precedente. Stiamo vivendo un nuovo ed epocale passaggio generazionale che interesserà i prossimi anni. La maggioranza delle imprese familiari italiane (a differenza di quanto riscontriamo in altri Paesi europei come Francia e Regno Unito) è caratterizzata, infatti, dalla presenza di un management composto quasi esclusivamente da familiari con un’età media superiore ai 60 anni.
Anche oggi, quindi, la questione si pone sostanzialmente nei medesimi termini degli Anni ‘90, ma con le peculiarità, complessità e incertezze del nostro tempo derivanti, per citarne alcune, dagli elevati tassi di inflazione, dai conflitti mondiali, dalla pandemia e dalla scarsità di risorse umane in un Paese in cui si affronta solo superficialmente l’aggravarsi del problema demografico.
In questo scenario si inserisce tuttavia un’opportunità, l’innovazione tecnologica galoppante, soprattutto grazie, nei tempi più recenti, ai processi in atto (in parte incerti) collegati all’uso dell’intelligenza artificiale. A tal proposito, si segnala che già nel 2020 i round di investimento in startup di intelligenza artificiale hanno superato i 70 miliardi di dollari (solo una decina dei quali in Europa, la restante parte distribuita quasi equamente tra gli Stati Uniti e l’Asia). Ogni rivoluzione economica ed industriale ha portato con sé un mondo migliore, in termini sia di crescita economica sia di ampliamento dei diritti.
La rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo deve fare i conti con un nuovo e straordinario cambio generazionale, ma in un sistema più solido che ha tutte le caratteristiche per risultare di successo; infatti, il mercato (anche estero) mostra una rinnovata fiducia nell’impresa italiana e nei suoi imprenditori che hanno tutte le competenze ed energie per capire e utilizzare l’innovazione tecnologica come volano della produzione interna.
Questa congiuntura sociale ed economica impone di svolgere qualche riflessione iniziale e (per ora) non conclusiva sul quadro giuridico.
Le strette maglie del diritto successorio - tra le quali si richiamano la tutela dei legittimari e del coniuge superstite, nonché il divieto dei patti successori - limitano la schiera degli strumenti legali adatti al passaggio generazionale.
Senza pretesa di esaustività, vale la pena citare il diffuso “family buy out” che, negli anni più recenti, è stato agevolato dal contesto macroeconomico e, in particolare, dalla economicità del ricorso al debito bancario. Il family buy out assicura la continuità dell’impresa al discendente interessato e, contestualmente, consente la liquidazione degli altri eredi. Tuttavia, tale strumento non si presta a tutti i modelli di impresa e spesso risulta inidoneo a programmare ex ante il passaggio generazionale. Dunque, nulla può essere lasciato al caso ed è opportuno adottare un approccio di pianificazione volto ad individuare la struttura legale più consona, tra le tante disponibili, al singolo passaggio generazionale.
Posta tale necessità, si ritiene che l’imprenditoria italiana sia in grado di cogliere le opportunità di questa nuova rivoluzione, nonostante implichi alcune scelte che, per convenienza, si era deciso di rimandare
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