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Art Advisory - Art funds ai nastri di partenza anche in Italia?

2/8/2017 | Silvia Segnalini (*)

Dopo il recente completo recepimento della direttiva AIFMD, il quadro normativo è finalmente maturo


Il problema è sempre lo stesso: creare valore, e capire come l’arte produce rendimento. Ed il momento è quanto mai propizio per farlo: e non solo perché viviamo in una fase di rendimenti negativi. Quello che preme far emergere in questo contributo è come il quadro normativo per gli art funds, che sono fenomeno tutt’altro che recente (il primo fondo d’arte ante litteram risale a più di cento anni fa: per chi volesse approfondire si permetta il rinvio a Silvia Segnalini, Art funds e gestione collettiva del risparmio, Giappichelli, 2016, 63 ss.) – all’indomani del recente, completo, recepimento della Direttiva AIFMD, c.d. Direttiva alternative (Direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2011) sui gestori di fondi alternativi, anche nel nostro ordinamento - sia sostanzialmente maturo: quindi – ed è questa la ragione per cui si parlava di momento propizio - , se non ora, quando?

 

Il recepimento dell’AIFMD in Italia è infatti iniziato, con il Decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 44 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 70 del 25 marzo 2014, ed entrato in vigore lo scorso 9 aprile 2014), che ha apportato alcune modifiche al T.U.F.; è proseguito con l’emanazione del Decreto 5 marzo 2015, n. 30 (attuativo dell’art. 39 del novellato TUF) del Ministero dell’economia e delle finanze; e allo stato tale completo recepimento si è finalmente concluso grazie al lavoro congiunto delle Autorità di Vigilanza: in particolare, la Banca d’Italia ha emanato il provvedimento del 19 gennaio 2015, recante il nuovo Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio, che abroga e sostituisce il precedente Provvedimento della Banca d’Italia dell’8 maggio 2012; mentre Banca d’Italia e Consob hanno emanato il provvedimento congiunto, sempre del 19 gennaio 2015, di modifica del Regolamento congiunto in materia di organizzazione e procedure degli intermediari del 29 ottobre 2007. 

 

In questo processo, di “detipizzazione” del sistema, si è andato delineando una sorta di “archetipo” del fondo alternativo, che, come per l’impianto regolamentare, pur non essendo stato pensato appositamente per i fondi di art, proprio a tali fondi può essere agevolmente sovrapposto. L’archetipo è quello del FIA italiano di tipo “chiuso” - in quanto facilmente si supera la soglia del 20% di investimenti in beni o attività con un minor grado di liquidità, come specificato nell’art. 4 del recente Decreto ministeriale 5 marzo 2015 n. 30, attuativo dell’art. 39 del novellato T.U.F. - , meglio ancora se riservato, in quanto in questo caso è possibile la costituzione anche mediante apporto (di opere, nel nostro caso); non è necessaria l’autorizzazione della Banca d’Italia; si può costruire in maniera mirata il Regolamento del fondo (rispettandone un contenuto minimo stabilito dalla normativa): fondo che può avere una durata massima di 50 anni, decisamente molto funzionale ad investimenti a lungo termine, come quelli di arte, soprattutto quando la scelta sia quella di compierli attraverso un fondo di investimento. Il che non esclude ovviamente la possibilità di configurare un FIA italiano chiuso di tipo non riservato.

 

Oramai poi con la Direttiva AIFMD, è previsto come la SGR che gestisce un fondo alternativo si debba dotare di un documento di policy con una mappatura dei conflitti di interesse (con un meccanismo che è quindi simil-UCITS, pur trattandosi di fondi non armonizzati); mentre anche se la medesima Direttiva prevede la presenza solo facoltativa dei c.d. esperti indipendenti (là dove la normativa italiana li aveva già previsti come obbligatori perlomeno nei fondi immobiliari, con i quali i fondi di arte hanno indubbie analogie), è indubbio come la presenza di tali esperti sia fisiologica in un fondo di arte.

 

A questo punto, quindi, sommessamente si ritiene come il passo successivo da compiere per una maggiore diffusione degli art funds, sia quello di studiare un modello di business sostenibile, in cui l’arte entri nel portafoglio come asset class alternativo. La domanda di fondi di arte, infatti, esiste già, soprattutto presso la clientela più abbiente; e gli indici di settore ci dicono come il rendimento dell’arte sia paragonabile a quello dell’equity: anzi, che sia meno volatile di quest’ultimo. Occorre a questo punto trovare un punto di equilibrio e di efficienza tra rendimento, rischio e orizzonte temporale, che si attagli a questo particolare asset, tenendo in considerazione i costi di intermediazione (che sono più alti della media) e la necessità di figure altamente specializzate (oltre che indipendenti).

 

Un orizzonte che – secondo alcuni esperti – si può muovere in direzioni diverse: quella della collezione molto diversificata, del venture capital dell’arte, del private equity dell’arte per la gestione di scuderie di artisti o per la valorizzazione di patrimoni culturali/assets abbandonati, superando così la logica dell’arte come manufatto, e analizzando meglio in che modo la medesima può produrre rendimento. E applicando dove servono anche i modelli già noti del real estate, soprattutto quando occorre ragionare in termini di location, qualità del bene, promozione dell’asset.

 

Anche in tale contesto ovviamente i fondi con almeno tre o cinque anni di track record attraggono più facilmente investitori, soprattutto nella congiuntura attuale, mentre quelli che non hanno, o quasi, precedent di successo, faticano di più per attrarre l’attenzione: esemplare in tal senso è il caso di The Fine Art Fund Group — l’unico gestore di art funds che può vantare un track record convincente — , che raccoglie $250 milioni dei $417 totali, rappresentando circa l’80,3% dei c.d. AUM americani ed europeo. Dati alla mano circa 35 fondi censiti sono europei, americani e di altri Paesi extra UE, e altrettanti sono cinese (con qualche dubbio, per il caso della Cina, che si tratti effettivamente di fondi in senso stretto). Insomma, non vi sono più alibi, neanche per il mercato italiano, in cui siamo certi non mancheranno delle novità: gli art funds sembrano davvero ai nastri di partenza. Chi vivrà, vedrà.

(*) avvocato, art lawyer - of counsel

Studio Legale Piselli & Partners

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