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6/3/2015 | Silvia Segnalini
A seguito del completo recepimento della Direttiva AIFMD, c.d. Direttiva alternative, il quadro normativo sugli "art funds" appare oggi finalmente maturo anche nel nostro ordinamento. Il percorso compiuto della legislazione sui fondi è infatti oramai chiaro e al suo interno si possono delineare due direzioni: la prima, già tracciata col T.U.F., ed ancora più marcatamente segnata dalla Direttiva AIFMD-alternative che dà ampio spazio ai fondi atipici, è quello della “detipizzazione” della materia; la seconda direzione è quella definitivamente presa già col Decreto Eurosim del 1996, attraverso cui si è fatta la scelta di un modello di mercato di tipo privatistico, pur se sottoposto alla vigilanza dell’autorità pubblica, il che se è possibile si è andato ora ancor più consolidando, soprattutto se guardiamo nell’ambito dei fondi alternativi, dove è indubbio che l’autonomia privata gioca un ruolo essenziale, mentre il ruolo del controllo dell’autorità pubblica si affievolisce.
A questo punto, quindi, sommessamente si ritiene come il passo successivo da compiere per una maggiore diffusione degli art funds, sia quello di studiare un modello di business sostenibile, in cui l’arte entri nel portafoglio come asset class alternativo. La domanda di fondi di arte, infatti, esiste già, soprattutto presso la clientela più abbiente; e gli indici di settore ci dicono come il rendimento dell’arte sia paragonabile a quello dell’equity: anzi, che sia meno volatile di quest’ultimo. Insomma, non vi sono più alibi: gli art funds sembrano davvero ai nastri di partenza.
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