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Il ruolo della Svizzera nel private banking italiano

6/19/2024 | di Francesca Rolla e Vincenzo Donadio (in foto), avvocati dello studio Hogan Lovells

Lo "Scudo fiscale Ter" del 2009 e l'attuazione del SAI del 2017 sono stati due driver fondamentali per il wealth management tricolore


Se parliamo dello sviluppo del private banking in Italia non possiamo non nominare la Svizzera, il Paese per antonomasia della gestione finanziaria di clienti private. 

Il segreto bancario elvetico ha radici molto antiche e per decenni ha permesso alla Confederazione di sviluppare un’industria del private banking in grado di soddisfare le più complesse e sofisticate esigenze finanziarie dei cosiddetti High Net Worth Individuals, ossia di clienti dotati di patrimoni milionari. 

Tuttavia, a seguito dalla crisi finanziaria del 2008-2009 e a fronte delle pressioni a livello internazionale, con la decisione del Consiglio Federale del 13 marzo 2009 in materia di assistenza amministrativa fiscale, la Svizzera ha deciso di conformarsi alla normativa OCSE introducendo lo scambio di informazioni su richiesta da parte di Stati con i quali aveva stipulato Convenzioni per evitare doppie imposizioni. Ma l’impatto più significativo sulla piazza finanziaria svizzera si è avuto nel 2017, con l’introduzione dello scambio automatico di informazioni ai fini fiscali (SAI), che ha determinato la fine della riservatezza totale nei confronti della clientela estera. 

La caduta del segreto bancario svizzero indubbiamente ha contribuito allo sviluppo e alla crescita costante del private banking nel nostro Paese. Le banche italiane, tradizionalmente legate all’offerta di servizi retail, hanno infatti dal 2009 introdotto e ampliato i servizi personalizzati rivolti ai clienti con grandi patrimoni. 

Resta il fatto, tuttavia, che le banche svizzere, anche in assenza del privilegio del segreto bancario, sono state in grado di sviluppare nuovi modelli di business, mantenendo una qualità molto elevata dei servizi offerti e un vantaggio competitivo rispetto agli operatori di altri Paesi, che solo più recentemente hanno investito nell’offerta di servizi di private banking. Ciò è confermato dal rinnovato interesse, anche da parte degli operatori bancari italiani, verso il mercato svizzero: si pensi al caso di Banca Generali che ha recentemente inaugurato a Lugano la sua private bank BG Suisse, ottenendo la prima autorizzazione rilasciata a un player italiano in Svizzera negli ultimi 15 anni. 

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Lo sviluppo del private banking in Italia è stato agevolato anche dalla introduzione degli “scudi fiscali”, in particolare il cosiddetto “Scudo fiscale Ter” varato dal Governo Berlusconi nel 2009. Tali provvedimenti, infatti, hanno consentito di regolarizzare o rimpatriare, su iniziativa dei contribuenti residenti in Italia, attività finanziarie e patrimoniali trasferite o detenute all’estero in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale. 

Essi sono dunque stati il motore propulsore dello sviluppo e del cambiamento del private banking italiano, che ha visto nel corso degli ultimi anni notevoli miglioramenti in termini di qualità e diversificazione dei servizi offerti, pur continuando a presentare margini di miglioramento, necessari per poter attrarre una clientela (soprattutto internazionale) con esigenze molteplici e complesse nella gestione dei propri grandi patrimoni, che spesso presentano profili e problematiche cross border. 

Infatti, se agli albori della crisi finanziaria del 2008-2009 il private banking sembrava destinato a rivestire un ruolo sempre più marginale nel mercato italiano, con l’approvazione dello “Scudo fiscale Ter” nel 2009 e l’attuazione del SAI in Svizzera nel 2017, l’industria italiana del private banking ha registrato un crescente sviluppo, fino a raggiungere i 1.100 miliardi di patrimonio gestiti alla fine del 2023, nonostante le incertezze derivanti dall’instabilità geopolitica. 

Negli ultimi anni, l’introduzione di nuove tecnologie ha rivestito (e continuerà a rivestire) un impatto fondamentale nel mercato del private banking. 

In particolare, si pensi alle piattaforme online che consentono una gestione automatizzata dei portafogli, all’intelligenza artificiale, che comporterà una rapida trasformazione delle modalità con cui i gestori patrimoniali interagiscono con i clienti, attraverso sofisticati algoritmi in grado di fornire raccomandazioni personalizzate, o all’utilizzo della blockchain per garantire sempre maggiore tracciabilità e sicurezza alle transazioni. 

La clientela private è inoltre sempre più attratta negli investimenti in mercati internazionali e negli investimenti ESG, anche come strumento di diversificazione, ponendo al contempo maggiore attenzione ai costi di gestione (in particolare a seguito degli obblighi di trasparenza imposti dalla Direttiva MiFID II). 

I servizi di private banking, del resto, rientrano nell’ambito di una più ampia strategia di pianificazione e gestione patrimoniale, non solo dal punto di vista finanziario, ma anche legale. Si pensi, ad esempio, al sempre più diffuso utilizzo del trust per la pianificazione del passaggio generazionale dei grandi patrimoni e delle imprese familiari. 

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