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7/2/2014 | Redazione Advisor
Dal 1 luglio i diamanti brillano di più. Questa particolare tipologia d'investimento, infatti, non è toccata dall'aumento della tassa sulle rendite finanziarie al 26% che colpisce da ieri tutte le principali classi di attivo, con l'esclusione dei titoli di Stato italiani e di Paesi white list e poche altre eccezioni. I diamanti, infatti, sono esenti dalla tassazione sul capital gain. E non sono soggetti neppure al bollo sul deposito titoli. Se l'acquirente è una persona fisica, si paga soltanto l'Iva che è già incorporata nelle quotazioni pubblicate su base trimestrale sulle pagine del Sole 24 Ore.
Negli ultimi 10 anni, l'investimento in diamanti ha offerto un rendimento interessante rispetto ad altri beni rifugio (leggi). Ma quali sono i costi a carico dell'investitore? “Non esiste un costo d'ingresso né un costo di gestione. L'unica voce di spesa è rappresentata dalla commissione d'intermediazione che si paga al momento del disinvestimento”, spiega Claudio Giacobazzi, amministratore delegato di Intermarket Diamond Business, broker specializzato che dichiara una quota pari al 95% del mercato italiano, per una media di circa 130-150 milioni di euro intermediati ogni anno.
Il costo di uscita scende con i tempi di permanenza: dal 16% se si disinveste dopo un anno dall'acquisto al 7% dopo 7 anni. “Di norma, chi si accosta a questo strumento difficilmente lo vende prima che siano passati 6 o 7 anni”, racconta Giacobazzi. Non sono previste altre tipologie di spesa. IDB, ad esempio, offre un servizio gratuito di custodia dei diamanti presso i propri caveau. Oppure l'investitore può custodirli in una cassetta di sicurezza bancaria o presso la propria abitazione (in questo caso la società paga l'assicurazione per un anno a condizione che il cliente abbia una cassaforte a muro).
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