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Se il venture capital è fonte di rendimento per private banker e family office

9/14/2017 | Redazione Private

I vantaggi di ricercare alpha percorrendo la strada che porta ai fondi di venture capital sono diversi: rendimenti elevati, decorrelazione, fiscale e supporto all’economia reale. Lo spiega un approfondimento degli esperti di P101


L’economia delle imprese che crescono può essere un booster del rendimento di portafoglio anche di private banker e family office, purché l’ottica sia quelli di medio termine, non meno di 3/5 anni per vedere i primi ritorni. Lo sostiene un approfondimento condiviso dall’Ufficio Studi di P101, fondo di venture capital specializzato in investimenti in società digital e technology driven, dal titolo “Venture capital: l’investimento alternativo che fa aumentare il valore del portafoglio”. Nello sviluppare il tema Andrea Di Camillo, managing partner, sottolinea che in particolare i fondi di venture capital sono strutturati in maniera da abbattere il rischio di portafoglio riportando la propria esperienza: “con P101 vediamo migliaia di società all’anno e scegliamo le migliori, mentre l’investitore informale, che agisce in modo destrutturato e/o non continuativo, non ha questi termini di confronto”.

La partecipazione in queste società è temporanea e minoritaria e tesa, appunto, ad accrescere ed accelerare la creazione di valore dell’impresa per realizzare un elevato capital gain in sede di dismissione. Riassumendo il modo di procedere di un fondo di venture capital, questo investe soldi dei sui investitori, i cosiddetti limited partner, in quote di aziende in fase iniziale e con prospettive di grande crescita, e si affianca a queste aziende in un’ottica di partnership, mettendo a disposizione dei nuovi imprenditori non solo le risorse finanziarie, ma anche il bagaglio di conoscenze e know-how, proprio e del network di esperti di cui spesso si avvale, e aiutandoli a definire le strategie di crescita.

Nell’approfondimento viene tra le altre cose spiegato che i vantaggi sono diversi: rendimenti elevati, decorrelazione, vantaggi fiscali e supporto all’economia realeIn particolare viene sottolineato quello fiscale: dal 2017 è possibile detrarre il 30% degli investimenti fino a un milione di euro dal reddito imponibile, rispetto al 19% della normativa varata nel 2013. Non solo. Secondo gli esperti non va trascurato, inoltre, il fatto che si tratta di un investimento totalmente decorrelato dai mercati tradizionali in un mondo in cui la decorrelazione tra asset class tradizionali non esiste più.  

Per far comprendere le potenzialità del settore del venture capital in Italia viene citato l’esempio degli Usa dove il valore delle venture capital-backed company ammonta a circa il 20% della capitalizzazione totale di Borsa, così come dimostrato da un’analisi della Stanford Graduate School of Business. Un dato che cresce nettamente se invece lo sguardo si sposta alle aziende fondate a partire dal 1979, anno in cui il venture capital di fatto è nato: delle 1330 realtà, oggetto di questa seconda osservazione, ben 574, ovvero il 57%, in termini di capitalizzazione sono venture capital-backed. Queste imprese investono inoltre in ricerca in sviluppo l’82% del totale, il che spiega anche la loro natura di innovatori capaci di trasformare interi settori industriali. “In Italia – affermano gli esperti di P101 - il valore delle imprese vc-backed sfiora il 2%: ed è ovvio che, fatte le debite proporzioni, lo spazio di crescita è enorme”.  

Gli ultimi numeri diffusi da Aifi aiutano a dare una dimensione all’evoluzione del fenomeno in Italia: nel 2016 il mercato del private equity e del venture capital ha segnato un record a 8,2 miliardi di euro (+77%). Gli operatori esteri sono tornati in gran spolvero, con un investimento pari al 69% in termini di ammontare. Le operazioni sono diminuite a 322 da 342, e le prime 17 costituiscono il 74% del valore. L’ammontare disinvestito al costo di acquisto delle partecipazioni è stato pari a 3,6 miliardi di euro, in crescita del 26% rispetto ai 2,9 dell’anno precedente. La conclusione degli esperti? “Guardando appena un po’ più in dettaglio i numeri di Aifi, si scorge che ben 5,7 miliardi di quel totale da record è fatto da operazioni di buyout e l’early stage rappresenta una fettina di appena di 104 milioni. Allora la buona notizia rimane troncata a metà: anche da questo lato dell’Atlantico, le imprese finiscono sempre di più sotto il radar di questi finanziatori alternativi. Ma le nuove idee fanno ancora molta fatica a trovare capitalisti di ventura”.

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