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10/18/2012 | Ippolito Catania
Che il dibattito sull’indipendenza nella consulenza in materia di investimenti non sia riducibile al mero sondaggio "incentivi sì" e "incintivi no", lo ha ribadito mercoledì anche un sostenitore del divieto agli inducement nella bozza della MiFID II come il presidente dell’Esma Steven Maijoor.
Maijoor giocava in casa, al congresso dei banchieri del Regno Unito, dove ha ribadito il suo appoggio ad un adeguamento della normativa Ue a quella britannica. Non si è però tirato indietro dal tirare alcune stoccate. Come quella contro le banche stesse: inducement e remunerazioni sono due facce della stessa medaglia, ha ribadito più volte durante il suo inervento.
Gli istituti, infatti, pur rispettando le normative europee che impongono una maggiore trasparenza nella vendita retail dei prodotti finanziari, potrebbero - e spesso lo fanno - spingere i prodotti in house a scapito di quelli di altre case prodotti o, sempre nella gamma in house, quelli che fanno guadagnare di più l’istituto. Anche in questi casi, ha spiegato Maijoor, si ricadrebbe nel conflitto di interesse alla stregua dei tied agent e multi tied che ricevono incentivi dalle case prodotto. Tuttavia, a differenza degli advisor (in Italia rappresentati soprattutto dai consulenti (ex-promotori)), le banche non finiscono quasi mai nel mirino dei legislatori. Soprattutto a Bruxelles.
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