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5/10/2017 | Giulia Barbieri (*)
Una via di mezzo tra un programmatore e un esperto di dinamiche aziendali: così Giorgio Bonacina (nella foto), responsabile Risk Management di Cassa Lombarda, descrive il suo ruolo: una funzione giovane, che si basa sull’identificazione, la misurazione e la gestione di tutti i tipi di rischi legati all’attività bancaria. Lasciando buoni margini di “creatività” e poco spazio alla noia.
Qual è stato il suo percorso per arrivare a ricoprire questo ruolo?
Sono nato nel 1961 e mi sono laureato in Economia e Commercio. Dopo l’università sono entrato in Banca Agricola Milanese nel 1987, dove ho mosso i primi passi nella contabilità e nell’organizzazione, per poi passare al controllo di gestione. Quando Banca Agricola Milanese è stata assorbita da Bpm nel 1997, io ho continuato a lavorare nella contabilità generale, ma con un taglio sempre più organizzativo. Nel 1999 sono entrato in Cassa Lombarda e dopo qualche tempo ho assunto la responsabilità dell’ufficio di Pianificazione e Controllo. Il resto è avvenuto quasi per caso: in quel periodo prendeva le mosse l’attività di risk management, che aveva una certa assonanza con quel che facevo io, quindi mi sono trovato in questa nuova professione: in una prima fase coincideva con il mio ruolo, poi dal 2010 ha assunto un profilo a sé stante.
Come si svolge la sua giornata tipo?
Non esiste una giornata tipo, nel bene e nel male. Il mio obiettivo generale è mitigare i rischi e limitare le perdite. La mia fuzione è una sorta di trait d’union tra chi si assume il rischio e il Cda che ha le sue aspettative e vuole avere prospettive ponderate per i costi accertabili. Il nocciolo sta nella misurazione dei rischi: in certi casi, il processo è abbastanza industrializzato, ci sono procedure e criteri standard, ma nella maggior parte dei casi non esistono strumenti di rilevazione: dobbiamo creare modelli matematico-statisctici per rappresentare le attività bancarie in modo da poter condurre analisi “what if” e immaginare i risultati in scenari diversi, con ipotesi diverse di applicazione. Una volta misurati i rischi, si passa alla gestione: qui è più semplice, si tratta di fissare soglie e politiche applicative. Direi che il mio lavoro è una via di mezzo tra quello di un programmatore - devo gestire molti dati e renderli “parlanti” – e quello di un esperto di dinamiche aziendali, perché parte della mia attività consiste nel comprendere a fondo il business e le esigenze del board.
Qual è l’aspetto più difficile di questo lavoro?
Questa è un’attività relativamente nuova - è nata negli anni 2000 e le ultime normative rislagono al 2013 - quindi si sta ancora un po’ costruendo. Inoltre è un settore per sua natura in costante evoluzione e richiede un continuo sviluppo e adeguamento della normativa. Va poi considerato un altro aspetto: è vero che certi rischi sono facilmente misurabili in termini quantitativi, come il rischio di credito e il rischio di mercato, ma altri – come quelli operativi e reputazionali - hanno una connotazione molto più qualitativa e sono quindi più difficili da misurare .
Quale aspetto le dà maggiore soddisfazione?
È l’altra faccia della medaglia: non essendo un lavoro “predefinito” permette di svolgerlo con creatività: si possono escogitare applicazioni e procedure, non è mai ripetitivo. E poi sei coinvolto in tutte le attività della banca, fino agli aspetti strategici di governance.
Quali potrebbero essere le evoluzioni future della sua carriera?
Iniziare nell’ambito del risk management è formativo e apre molte strade essendo un ruolo trasversale. A livello della mia posizione si tratta invece di un ruolo già molto specialistico e in alto nella struttura piramidale di una banca, quindi un’ulteriore evoluzione è difficile da immaginare. Lo sfogo possibile potrebbe essere, in prospettiva futura, entrare in un consiglio di amministrazione.
Articolo tratto da AdvisorPrivate N5, dicembre 2016-febbraio 2017. Sfoglia il nuovo numero del trimestrale
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