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2/1/2024 | Marcella Persola
Cresce la finanza ad impatto in Italia. A fine 2022 le masse avevano raggiunto circa i 9,3 miliardi di euro, un terzo in più (+33%) dell'anno precedente, quando i miliardi erano circa 7 e rappresentavano l'8,5% del dato europeo: gli asset under management (AUM), infatti, a fine 2021 risultavano pari a 1.063 miliardi a livello internazionale e a 80 miliardi a livello europeo. E’ questa la fotografia che emerge dal rapporto Finance for Impact: 2023 Italian Outlook – The Journey to Radicality presentato da Tiresia, il Centro di Ricerca per l’innovazione e la finanza per l’impatto sociale della School of Management del Politecnico di Milano realizzata in collaborazione con SIA – Social Impact Agenda per l'Italia e con il supporto di Impact Europe.
«Il mercato della finanza a impatto è cresciuto significativamente in appena 10 anni» osserva Filippo Montesi Altamirano, segretario generale di SIA. «Il nuovo report evidenzia il crescente interesse degli operatori finanziari e dei risparmiatori a investire in asset generativi di impatto ambientale e sociale positivo. Non possiamo sentirci ancora soddisfatti da questi risultati, sentiamo l’urgenza di mobilitare almeno il 10% degli Asset under management verso modelli di business a impatto e di preservare il carattere trasformativo della finanza a impatto, al fine di contribuire al raggiungimento dei Sustainable Development Goals a livello nazionale e globale».
Lo studio ha coinvolto 39 operatori del mercato finanziario, che rappresentano il 72% di quanti dichiarano di adottare strategie di investimento riconducibili alla finanza per l’impatto in Italia. Nello specifico, 31 operatori sono asset manager che investono direttamente in organizzazioni imprenditoriali con finalità sociali o in organizzazioni del terzo settore. Secondo i principi della finanza ad impatto – intenzionalità, misurabilità e addizionalità – il 45% degli operatori risulta avere un approccio di impatto radicale, ovvero di totale aderenza a questi principi; mentre il 55% ha un approccio generale. In Italia, quindi, 2,4 miliardi di euro vengono gestiti da operatori che hanno un approccio radicale alla strategia di investimento ad impatto e 6,9 miliardi di euro da operatori che scelgono un approccio generalista.
Tra i 31 gestori patrimoniali coinvolti, ci sono organizzazioni che gestiscono veicoli d'investimento a cui si applica la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR). Guardando alla classificazione Articolo 8 e Articolo 9 dei loro veicoli, risulta che alcuni operatori (il 29%) gestiscono veicoli di investimento che sono stati classificati come Articolo 8. Tuttavia il 50% ha una strategia di investimento che si allinea ai principi della finanza per l’impatto così come definita nel rapporto. Per il restante 71% di organizzazioni che gestiscono veicoli di investimento classificati come Articolo 9, si evidenzia al contrario un 40% che ha invece un approccio generalista e che non aderisce ai tre principi della triade dell’impatto. Questi risultati sollevano preoccupazioni sulla normativa UE, che manca ancora di una classificazione precisa degli approcci orientati all'impatto.
Ma quali sono i settori più interessanti e che potrebbe rappresentare un driver per la finanza a impatto? Secondo lo studio sarebbero: salute, educazione, tecnologia, agricoltura e ambiente.
Nello specifico i principali settori di interesse per gli operatori della finanza per l’impatto risultano essere quelli della salute (68%), quindi dell’educazione (61%) a parimerito con la tecnologia (61%), l’agricoltura (61%) e l’ambiente (61%). I Sustainable Development Goals a cui gli investimenti e il finanziamento contribuiscono maggiormente sono: lavoro dignitoso e crescita economica (80%); salute e benessere (77%); riduzione delle disuguaglianze (77%); città e comunità sostenibili (77%); consumo responsabile (77%). Per il 62% degli asset manager gli aspetti finanziari e sociali hanno lo stesso peso nelle scelte di investimento. Mentre per il 21% gli aspetti sociali rappresentano la logica decisionale prioritaria.
Tra i principali criteri di valutazione nella scelta di investimento e di finanziamento viene considerata la presenza di una missione d'impatto come criterio più ricorrente (88%), seguito dal potenziale di redditività e dalla scalabilità (52%) e composizione del team dell’organizzazione (48%). Altri criteri considerati sono, ad esempio, l'infrastruttura per la misurazione dell'impatto (24%) e la configurazione della governance in grado di salvaguardare il raggiungimento dei risultati sociali (8%). Le organizzazioni maggiormente supportate dagli operatori finanziari intervistati sono business tradizionali con una mission di impatto (come dichiarato dal 57% delle organizzazioni finanziarie) e organizzazioni not for profit che svolgono delle attività commerciali marginali (come dichiarato dal 54% delle organizzazioni finanziarie).
E dopo le note positive, anche i punti critici. Lo studio evidenzia infatti l’esistenza di alcuni principi barriera, come la mancanza di opportunità di investimento interessanti a causa della carenza di competenze manageriali (40%), la mancanza di metodologie di misurazione di impatto standardizzate, trasparenti e comparabili (23%) e l'assenza di istituzioni pubbliche in grado di sostenere questo mercato attraverso specifiche facilitazioni e quadri normativi (30%). È fortemente emersa la necessità di una maggiore presenza della pubblica amministrazione (42%) e di investitori istituzionali (65%), oltre che la necessità di rafforzare ulteriormente la collaborazione multi-stakeholder (54%).
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