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Giro di vite sui fondi ESG e sostenibili. Il nome lo decide la normativa

11/26/2022

Per usare i termini "green" nel nome degli investimenti sarà necessario rispettare regole rigide. A rischio il futuro di tanti fondi art. 8.


Tutto è nato con una classificazione dei fondi in tre grandi insieme: articolo 6 (ovvero nessun approccio green), art. 8 (green, ma non troppo), art. 9 (completamente green). Una classificazione che ha letteralmente scatenato una corsa all’adeguamento dei prodotti esistenti con l’obiettivo di arrivare a etichettare i vari fondi nel pieno rispetto della normativa SFDR di primo livello.

 

Una corsa che ora deve tornare ai blocchi di partenza. O perlomeno rallentare e costringere tutti gli asset manager a ripensare alle proprie strategie. Il motivo? Il documento di consultazione, dal titolo “On Guidelines on funds’ names using ESG or sustainability-related terms" pubblicato dall’ESMA il 18 novembre 2022 e che si pone come obiettivo quello di delineare un perimetro condiviso entro il quale poter effettivamente considerare un prodotto finanziario SFDR come rispondente alle indicazioni contenute nell’art. 8, cercando di individuare criteri quantitativi da rispettare in termini di investimenti per poter usare o meno termini come ESG, sostenibilità e impatto nei nomi dei fondi. 

 

In pratica è partita una consultazione, che si chiuderà a febbraio 2023, che vuole dare un nuovo giro di vite al greenwashing ma che potrebbe avere diversi effetti collaterali sullo sviluppo dell’industria ESG. 

 

Di cosa stiamo parlando? Nel documento di 29 pagine spiccano tre requisiti che ESMA indica come criteri da rispettare per usare o meno dei termini nei nomi di fondi. In particolare: se un fondo ha una qualsiasi parola legata all'ESG nel suo nome, deve prevedere che un percentuale minima di almeno l'80% dei suoi investimenti venga utilizzata per soddisfare le caratteristiche ambientali o sociali (in pratica secondo queste linee guida nessun fondo articolo 6 può utilizzare la terminologia ESG e non tutti gli attuali articolo 8 possono usare questa terminologia).

 

Ma non basta. Se un fondo utilizza il termine "sostenibile" (comprese le sue derivazioni) deve rispettare il requisito dell'80% di cui sopra, ma deve anche garantire che almeno il 50% degli investimenti utilizzati per soddisfare le caratteristiche ambientali o sociali o l'obiettivo di investimento sostenibile del fondo si qualifichino come "investimenti sostenibili" ai sensi dell'articolo 2 della regolamentazione SFDR.

 

Oltre a questi due requisiti, l'ESMA propone, nella consultazione, che per poter utilizzare il termine "sostenibilità" o altri termini legati all'ESG nel nome del fondo, un fondo debba anche rispettare le esclusioni per i benchmark allineati a Parigi stabilite nell'articolo 12 del regolamento delegato sui benchmark (regolamento delegato (UE) 2020/1818 della Commissione).

 

Di quali esclusioni parliamo? Sono diverse, alcune più note, come ad esempio il coinvolgimento in attività legate alle armi controverse, altre meno note e più difficili da applicare, come ad esempio: l’esclusione di aziende che “secondo quanto riscontrato o stimato da loro stesse o da fornitori di dati esterni, danneggiano in modo significativo uno o più degli obiettivi ambientali di cui all'articolo 9 del regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio [la tassonomia UE]”; di società che ricavano l'1% o più dei loro ricavi dall'esplorazione, dall'estrazione, dalla distribuzione o dalla raffinazione di carbon fossile e lignite; e di aziende che ricavano il 50% o più dei loro ricavi dalla produzione di energia elettrica con un'intensità di gas serra superiore a 100 g CO2 e/kWh.

 

L’impatto di questa consultazione sulla corsa che ha generato la SFDR di primo livello non sarà irrilevante. Come sempre l’obiettivo della normativa è nobile e doveroso, combattere il greenwashing e fare chiarezza, ma il primo effetto potrebbe vedere una riduzione del numero di fondi ESG e sostenibili, perché oggi un discreto numero di fondi sul mercato si classifica come articolo 8 principalmente sulla base di strategie di screening negativo.  

 

Ma i “nuovi” criteri di esclusione potrebbero compromettere il futuro dei fondi articolo 8 che utilizzano strategie di screening negativo meno rigorose di quelle delineate dall'ESMA. Le imprese che si troveranno in questa posizione dovranno valutare se possono mitigare questo rischio riclassificandosi come articolo 6 o se possono migliorare la loro strategia ESG e diventare art. 8 plus, se non addirittura art. 9.

 

Se quindi, da un lato, la consultazione ESMA toglie il volante dello sviluppo dell’offerta ESG al mondo del marketing, dall’altro potrebbe rallentare la corsa degli ultimi anni e riportare questi strumenti in una condizione di “nicchia”. A meno che la domanda di fondi ESG non sia davvero così pressante come le ricerche di mercato hanno rivelato nell’ultimo quinquennio.

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