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5/4/2017
"Rimanere flessibili e rapidi mantenendo in equilibrio risultati e servizio ai clienti, remunerazione per i consulenti e valore per gli azionisti". È questa la grande sfida di Azimut secondo Paolo Martini, amministratore delegato di Azimut Capital Management e co-direttore generale di Azimut Holding che in questa intervista esclusiva rilasciata ad Advisoronline dichiara la fine delle "reti generaliste" e presenta la riorganizzazione della rete Azimut.
Com'è iniziato il 2017?
Con 2,2 miliardi di raccolta netta in 3 mesi, una performance media ponderata di circa il 2% e 18 nuovi ingressi di consulenti. Abbiamo accelerato lo sviluppo della macchina operativa e IT lanciando nuovi progetti legati anche al processo di consulenza e a giugno presenteremo novità di servizi e prodotti assolute per il mercato italiano. Siamo poi partiti con la nuova organizzazione della rete.
In che cosa consiste questa nuova organizzazione?
L'epoca dei manager di rete generalisti motivatori che guadagnano cifre a tre zeri con sotto strutture piramidali di centinaia di persone è al tramonto. Il nostro mondo è diventato troppo complesso, per affrontarlo servono fortissime competenze specifiche e il focus deve essere la crescita delle professionalità dei consulenti. Quello che stiamo facendo è organizzare meglio la gestione dell'attività senza però diventare eccessivamente burocratici e ridurre tutto a procedure. Errore che è facile commettere se si cresce molto. Oggi era necessario cambiare e per quello abbiamo definito un'unica struttura di governance (10 Managing Director) per le 3 linee di business del gruppo - rete, wealth management e istituzionali - che inizia a dare i suoi frutti.
Il titolo però sembra soffrire, come se lo spiega?
Non me lo spiego del tutto. Abbiamo un flottante alto, operiamo in un settore e in un Paese che non sta attraversando un momento d'oro ma siamo l'unica vera public company nel settore in Italia, lavoriamo con gestione e distribuzione integrate e abbiamo recentemente creato un nuovo modello di business attraverso la nostra piattaforma aperta di multi family office che rappresenta il futuro della nostra professione. Siamo, inoltre, l'unica realtà italiana che ha avviato e sviluppato un progetto di internazionalizzazione con quasi il 20% degli asset fuori dal nostro Paese. Il nostro modello di business è solido, abbiamo le idee chiare di come affrontare il domani e penso che al momento tutto quello che abbiamo fatto e che faremo non sia correttamente valutato nel valore del titolo.
Su cosa dovrebbe concentrarsi oggi un consulente finanziario per affrontare le nuove sfide?
Rimanere generalisti con focus solo sulla parte finanziaria sarà molto pericoloso. Occorre sviluppare bene le competenze su un tema che sia di forte utilità per i clienti come ad esempio il passaggio generazionale, il welfare aziendale o ancora il mondo corporate che rappresenta un'opportunità epocale sia per i singoli professionisti sia per l’industria. Bisogna poi promuovere molto di più il proprio brand personale e della società. Creare una logo individuale, pianificare forti investimenti di marketing mirati anche sul web e vivere la propria singola professionalità come fosse un marchio allo stesso modo di Nike o Apple. I primi consulenti che lo faranno veramente unendo competenze e sostanza a comunicazione avranno nei prossimi anni un vantaggio competitivo enorme. Chissà magari tra qualche anno gli head hunter si trasformeranno in procuratori e cureranno l'immagine e i diritti dei loro assistiti.
Si tratta di un bel cambiamento, c'è altro?
Penso che tra 5-7 anni chi non lavorerà in team nelle sue varie forme e non avrà capito l'importanza di avere dei professionisti che lo supportano su specifici temi, difficilmente svolgerà ancora questo lavoro. Siamo solo all'inizio della rivoluzione che arriverà e pensare che nulla cambierà o che basti una forte relazione pluriennale con i clienti per restarne immuni è un grosso errore. Occorre poi educare il cliente ad investimenti con orizzonti temporali di medio lungo termine per ottenere performance adeguate e non farsi sopraffare dall'emotività di breve periodo. Il mondo del non quotato nelle sue varie forme e una maggiore propensione all'equity, con alla base un forte processo di education sui clienti, sono concetti che non possono non essere fatti propri dal consulente di domani.
E lato società cosa serve?
Rimanere flessibili e rapidi mantenendo in equilibrio risultati e servizio ai clienti, remunerazione per i consulenti e valore per gli azionisti. Per farlo bisogna saper ascoltare veramente e non chiudersi dentro rigidi schemi e procedure. Vedo che sul mercato c'è una tendenza alla bancarizzazione delle reti, occorre fare attenzione per non replicare modelli da cui molti professionisti bravi sono fuggiti in questi anni. Noi, ad esempio, stiamo lavorando per implementare la nostra piattaforma multi banca che conta oltre 50.000 clienti e 10 filiali dedicate nelle nostre agenzie e prevede al momento accordi con Banco BPM, CheBanca!, UBS, Banca Akros, Edmond de Rothschild e Vontobel. Come dimostrano i numeri di raccolta e i circa 600 colleghi arrivati negli ultimi 4 anni, siamo un polo di attrazione per chi desidera un modello diverso da quelli rigidi bancari.
Cosa dovreste fare di diverso o meglio?
Comunicare cosa siamo oggi: abbiamo un modello di servizio unico ma sul mercato molti sono rimasti ad un concetto di Azimut di 10 anni fa. Poi continuare a sviluppare la piattaforma IT e operations, ma in questo ci aiuta l'innovazione costante della tecnologia e dare ancora più valore al nostro modello di public company, che capitalizza 2,5 miliardi di euro, e quindi al nostro patto di sindacato che controlla oltre il 14% del capitale e ha visto oltre 1100 colleghi investire di tasca propria sul titolo una media di 600 euro al mese per 4 anni.
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