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America Latina, fuga dall'azionario

3/3/2011 | Federico Leardini

Da inizio anno i mercati sudamericani hanno registrato una vera e propria fuga degli investitori internazionali. Quali sono le cause e quali le prospettive per quelli che fino a qualche mese fa erano visti come "porti sicuri" per i capitali occidentali


ADDIO AL SUDAMERICA - Troppi fattori per non iniziare a riconsiderare le proprie posizioni. Dev'essere questo il pensiero di molti fund manager di fronte alla situazione che si sta verificando sui mercati dell'america latina.

Inflazione, tensioni geopolitiche, la corsa degli scorsi anni, sono tre dei molti elementi che stanno pesando sulla performance negativa di molti dei  mercati che fino a qualche mese fa trainavano la ripresa dell'economia globale.

Da Inizio anno su tutti i principali listini sudamericani stanno prevalendo le vendite, in decisa controtendenza rispetto a quanto si osserva sullo scenario delle economie occidentali più mature.

In Cile il listino ha perso il 9% in due mesi, Argentina e Messico hanno ritracciato del 5% e lo stesso Bovespa brasiliano ha lasciato per strada oltre 5 punti percentuali nelle ultime settimane.

Ma cosa si nasconde dietro a questo ritracciamento?

 

LA FINE DELLA CORSA - Secondo gli osservatori più esperti si tratta di un insieme di fattori riconducibile innanzitutto alla ricerca di riduzione del rischio negli investimenti.

Le tensioni politiche in Nordafrica e in Medioriente, che non hanno pesato sui nostri mercati, sono state viste come potenzialmente nocive per tutti i paesi emergenti, principalmente perchè il costo delle materie prime in rapida crescita rischia di impattare proprio su quei paesi che sono nelle fasi di maggior espansione industriale e, come necessaria conseguenza, a quei mercati devono maggiormente accedere.

Effetto naturale e immediato di questa dinamica la rapida crescita dell'inflazione, che va a condizionare immediatamente sulle strategie delle banche centrali locali,

Da qui si è arrivati alle decisioni di "quantitative tightening", alle strette sul fronte della liquidità in circolazione decise di recente proprio per raffreddare il surriscaldamento delle economie emergenti.

La Cina è stato l'esempio di cui si è parlato maggiormente, ma quasi tutti gli istituti centrali di Bric e "vicini" hanno agito nella stessa direzione.

"Gli scambi sui Bric stanno riducendosi significativamente" fa sapere Walter Molano, capo della ricerca di BCP Securities, "i fund manager stanno cercando di ridurre sempre di più l'esposizione ad asset che percepiscono come rischiosi prima che le perplessità che per anni hanno accompagnato la crescita dei bric si traformino in realtà".

Una dinamica sostanzialmente analoga a quella che si è vista sul fronte valutario.

Anche qui la scelta degli investitori si è spostata su valute percepite come più "sicure", franco svizzero su tutti.

Un deflusso dai mercati emergenti che, per numerosi esperti, potrebbe essere passeggero e pienamente reversibile, qualora le economie mature non dovessero dare consistenza ai primi segnali di ripresa che stiamo osservando in questi giorni.

"Lo stress sui mercati dell'america latina è uno stress da successo" afferma il capo dell'equity dei mercati emergenti di HSBC, John Lomax, "ultimamente gli investitori hanno scommesso su un ritorno del ciclo di crescita degli Stati Uniti e un raffreddamento degli emergenti. Ma a mio avviso siamo già pronti a una nuova inversione e nel giro di 12 mesi potremmo osservare una nuovo cambio di direzione di questi flussi di capitale". 

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