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Fondi pensioni e previdenza complementare, Assogestioni va in Parlamento

5/17/2024 | Redazione ADVISOR

Sono i due temi chiave esposti dall'associazione nel corso dell'audizione davanti alla Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale


L’aumento delle adesioni ai fondi pensione come elemento imprescindibile per lo sviluppo del mercato dei capitali in Italia e la necessità di modifiche, seppur mirate, del sistema della previdenza complementare definito nel 2005, finalizzate a una maggiore diffusione dei fondi pensione. Sono questi i due messaggi chiave esposti da Assogestioni nel corso dell'audizione davanti alla Commissione parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale.

Per quanto riguarda il primo punto, si legge nell’audizione che Assogestioni ha reso disponibile, il mercato dei capitali in Italia è caratterizzato da una condizione di arretratezza rispetto a quello di altre economie avanzate, nelle quali si registra una maggiore dinamicità. Per cercare di porre rimedio ad alcune delle cause che hanno determinato il ritardo nello sviluppo del mercato dei capitali nel nostro Paese, sono state di recente sviluppate e introdotte alcune iniziative. Come è noto, infatti, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, partendo dagli esiti del report dell’OCSE del 2020 e coinvolgendo gli stakeholder nel TavoloFinanza per la crescita 2.0, ha pubblicato il libro verde sulla competitività dei mercati finanziari italiani a supporto della crescita, dal quale è poi scaturita, in particolare, l’iniziativa legislativa che ha portato all’approvazione della legge 5 marzo 2024, n. 21, recante “Interventi a sostegno della competitività dei capitali e delega al Governo per la riforma organica delle disposizioni in materia di mercati dei capitali recate dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e delle disposizioni in materia di società di capitali contenute nel codice civile applicabili anche agli emittenti”.

Le norme della legge capitali sono per lo più volte a rimuovere taluni ostacoli all’accesso al mercato dei capitali da parte delle imprese e a incentivare la canalizzazione del risparmio privato verso il sistema produttivo del Paese. Lo sviluppo del mercato dei capitali non riguarda soltanto l’Italia ma rappresenta un tema centrale dell’agenda europea da molto tempo. A partire dal 2015, la Commissione europea ha emanato dei Piani di azione con l’obiettivo di avviare la costruzione di un mercato unico dei capitali in Europa. In questo contesto lo sviluppo dei fondi pensione è stato sempre visto come un elemento chiave per rafforzare e incrementare gli investimenti di lungo periodo. Tuttavia, le iniziative legislative che hanno seguito ai Piani di azione della Commissione europea come, ad esempio, il Regolamento (UE) 2019/1238 sul prodotto pensionistico individuale paneuropeo (Regolamento PEPP), non hanno prodotto i risultati sperati.

A livello nazionale, Assogestioni ha già da molto tempo sottolineato l’esigenza di introdurre delle misure volte a incrementare la partecipazione alla previdenza complementare sia per garantire pensioni adeguate ai lavoratori sia per far crescere le dimensioni dei fondi pensione italiani. Se guardiamo ai Paesi europei nei quali si registra una maggiore partecipazione ai mercati di capitali, ci accorgiamo che uno dei principali fattori che determina tale dinamica è proprio la presenza di fondi pensione di dimensioni rilevanti.

Stati come la Svezia, i Paesi Bassi e la Danimarca presentano elevati tassi di partecipazione ai fondi pensione, spesso determinati da meccanismi di adesione obbligatoria, e bassi livelli di depositi, al contrario di quanto avviene in quei Paesi, come l’Italia, nei quali la previdenza complementare è ancora poco diffusa. Pertanto, lo sviluppo del mercato dei capitali e, quindi, la possibilità di offrire al tessuto produttivo del Paese fonti di finanziamento alternative al canale bancario, sono strettamente correlati alla presenza e al contributo di fondi pensione caratterizzati da patrimoni rilevanti. D’altra parte, anche l’OCSE, nel citato report sul mercato dei capitali italiano, aveva invitato il Governo a valutare una revisione dell’attuale sistema pensionistico, “in modo tale che un’accresciuta partecipazione nel pilastro privato porti vantaggio anche per lo sviluppo di un mercato dei capitali italianopiù completo”.

Il ritardo nello sviluppo della previdenza complementare non consente, quindi, di poter beneficiare della presenza di fondi pensione in grado di partecipare, in modo significativo, al mercato dei capitali e di fornire il sostegno necessario all’economia del Paese.  Come è noto, il sistema di previdenza complementare italiano, con un patrimonio di circa 223 miliardi di euro a fine 2023, sconta una considerevole distanza rispetto alle dimensioni di altri Paesi dell’area OCSE. Tuttavia, nel valutare la scarsa partecipazione alla previdenza complementare, pari a circa il 36,2 per cento delle forze di lavoro (26,3 per cento se consideriamo soltanto gli iscritti che nel corso del 2022 hanno effettivamente contribuito al proprio fondo pensione), occorre tenere in considerazione le caratteristiche strutturali del nostro sistema di previdenza obbligatoria, il quale è contraddistinto da elevate aliquote contributive che comprimono lo sviluppo del secondo pilastro. 

C’è, tuttavia, da considerare che, con l’entrata a regime del sistema a contribuzione definita, il tasso di sostituzione delle pensioni pubbliche sia destinato a scendere nel corso dei prossimi anni, soprattutto per i lavoratori autonomi. Ulteriori fattori, come l’andamento demografico, la necessità di ridurre le spesa pubblica per le pensioni e di garantire pensioni adeguate ai lavoratori e alle future generazioni indicano, anche per un Paese come l’Italia, l’importanza di accelerare lo sviluppo della previdenza complementare. D’altra parte, soltanto in questo modo potrà essere portato a compimento il processo di riforma avviato negli anni ‘90, incentrato sulla creazione di un sistema pensionistico multi-pilastro, nel quale i fondi pensione ricoprono un ruolo fondamentale per garantire una adeguata copertura pensionistica, a fronte delle prevedibili riduzioni nei tassi di sostituzione determinate dal sistema contributivo. 

Oltre al modesto livello di adesione, occorre segnalare che il panorama dei fondi pensione in Italia è caratterizzato da una estrema eterogeneità e da una rilevante frammentazione. A fine 2022, infatti, erano 332 le forme pensionistiche complementari operanti nel sistema, molte delle quali resentano patrimoni limitati. Un altro aspetto che deve essere considerato nel valutare i fondi pensione nel loro ruolo di investitori istituzionali, è il legame che sussiste tra le scelte effettuate dagli aderenti, in termini di allocazione dei propri contributi, e le politiche di investimento dei fondi pensione. Queste ultime, infatti, sono finalizzate a consentire agli iscritti di disporre di prestazioni pensionistiche complementari al sistema obbligatorio e, pertanto, sono determinate dalle caratteristiche di rischio-rendimento dei comparti di investimento offerti dai fondi pensione e dal peso che essi assumono a seguito delle scelte effettuate dagli iscritti.

Al riguardo la COVIP ci fornisce una fotografia non del tutto rassicurante. Nell’ultima relazione per l’anno 2022 emerge come il 38 per cento degli iscritti alla previdenza complementare abbia scelto di far confluire i propri contributi in un comparto garantito.

Il 39,7 per cento si è affidato a comparti bilanciati mentre soltanto il 9,2 per cento degli iscritti ha optato per un comparto azionario. Tale aspetto influenza anche le politiche di investimento dei fondi pensione, orientate in larga parte verso classi di attività meno rischiose. Ne consegue che il portafoglio tipico dei fondi pensione è di tipo tradizionale, caratterizzato in buona parte da titoli di Stato. Una simile composizione degli investimenti, al di là dell’acquisto dei titoli di Stato italiani, difficilmente può apportare un concreto e significativo sostegno all’economia del Paese. Infatti, i dati forniti dalla COVIP evidenziano come i fondi pensione, nonostante i progetti avviati negli ultimi anni, abbiano dato un contributo modesto all’economia italiana. 

In particolare, a fine 2022, dei 35,5 miliardi di euro confluiti nell’economia italiana, 26,1 miliardi sono rappresentati da titoli di Stato italiani (15,4 per cento del totale dell’attivo netto). Gli altri titoli di debito e i titoli di capitale figurano per un ammontare, rispettivamente, di 2,6 e 1,5 miliardi di euro. I titoli non quotati sono pari a circa 930 milioni di euro, 270 milioni costituiti da obbligazioni e 660 milioni da azioni. Anche nel confronto internazionale, l’investimento dei fondi pensione nell’economia domestica risulta estremamente limitato. In uno studio condotto nel 2022 dall’OCSE, emerge come sul totale degli investimenti effettuati dai fondi pensione dei Paesi OCSE, in media, il 37,6 per cento sia rivolto all’economia domestica. I tre fondi pensione negoziali italiani inclusi nel campione presentano livelli di investimento domestici ben al di sotto della media, con valori compresi tra l’11,5 e il 29,6 per cento. Le Casse di previdenza, invece, sebbene abbiano, nel complesso, un patrimonio inferiore rispetto a quello dei fondi pensione (a fine 2022, 103,8 miliardi le Casse e 205,6 miliardi i fondi pensione), detengono un investimento nell’economia italiana maggiore rispetto a quello delle forme pensionistiche complementari.

Come sottolineato anche dalla COVIP, dei 13,2 miliardi di euro destinati alle imprese italiane, 7,9 miliardi provengono dalle Casse di previdenziale e i restanti 5,3 miliardi dai fondi pensione. Al riguardo è opportuno osservare che la maggior parte del patrimonio delle Casse è concentrato nei primi cinque enti che possono contare su masse e strutture interne tali da consentire una maggiore diversificazione degli investimenti.

A conferma del fatto che la dimensione dei patrimoni e l’articolazione interna dei fondi pensione sono fattori che possono incidere in modo rilevante sulle scelte di investimento, vale la pena richiamare gli esiti di un sondaggio, effettuato nel 2022 da Mefop, sugli investimenti in asset alternativi. Preliminarmente occorre ricordare che, nel 2022, i fondi pensione, nell’ambito degli investimenti domestici, hanno investito 2,3 miliardi in OICR alternativi (di cui 1,8 miliardi in fondi immobiliari) mentre le casse di previdenza hanno investito circa 16 miliardi (di cui circa 14 in fondi immobiliari).

Dal sondaggio effettuato da Mefop risulta che tutte le Casse intervistate hanno effettuato investimenti alternativi mentre soltanto la metà dei fondi pensione hanno incluso asset alternativi nei loro portafogli. I fondi pensione partecipanti alla survey hanno indicato, come cause principali del mancato investimento in asset alternativi, proprio la ridotta dimensione patrimoniale e la mancanza di strutture di controllo adeguate alle complessità di tali strumenti.

Per ciò che riguarda la crescita dei fondi pensione come elemento fondamentale per lo sviluppo del mercato dei capitali, Assogestioni sottolinea che un maggiore legame tra gli investimenti dei fondi pensione e l’economia reale del Paese non può prescindere dal rafforzamento e dallo sviluppo del secondo pilastro previdenziale. Occorre, quindi, incentivare la crescita del sistema della previdenza complementare, quale elemento centrale per assicurare un adeguato livello di copertura previdenziale ai futuri pensionati e per dare nuovi stimoli allo sviluppo della nostra economia. L’aumento delle adesioni al secondo pilastro, oltre a garantire un maggior patrimonio a disposizione per l’investimento nell’economia del Paese, consentirebbe il rafforzamento e lo sviluppo della governance dei fondi pensione e l’adozione di adeguati presidi organizzativi. Il raggiungimento di tali condizioni favorirebbe lo sviluppo, anche nel nostro mercato, di soluzioni di investimento in grado di agevolare il sostegno del tessuto produttivo del Paese.

Siamo, infatti, dell’avviso che, con un aumento delle masse dei fondi pensione, anche l’offerta di prodotti di investimento saprà strutturarsi per rispondere alle esigenze degli investitori istituzionali, al pari di quanto avviene negli altri Paesi. Allo stesso tempo, è auspicabile che i fondi pensione e le Casse di previdenza utilizzino pienamente le misure di incentivo fiscale esistenti, finalizzate ad agevolare l’investimento in imprese italiane e in imprese estere “radicate” nel territorio dello Stato, come, ad esempio, quelle offerte dai PIR ordinari e dai PIR alternativi. A tali fini, sarebbe opportuna una maggiore razionalizzazione della disciplina e un più adeguato coordinamento nel suo complesso tra gli incentivi fiscali previsti per il comparto dei fondi pensione e delle casse di previdenza.

In merito a tale aspetto, Assogestioni, che ha fortemente sostenuto l’introduzione dei PIR in considerazione del ruolo centrale che il risparmio gestito svolge nel collegare i risparmi previdenziali con l’economia reale, è disponibile a offrire il proprio contributo per un miglioramento del quadro di riferimento. Per quanto concerne lo sviluppo della previdenza complementare, occorre domandarsi quali possano essere le strade da seguire per dare una spinta alla crescita delle adesioni.

Come già ricordato in precedenza, l’attuale struttura del sistema pensionistico italiano presenta alcuni ostacoli allo sviluppo dei fondi pensione. Riteniamo, tuttavia, che vi siano ampi spazi per migliorare il tasso di adesione, cercando di far convogliare la rilevante quota di depositi delle famiglie italiane (circa 1.500 miliardi di euro) in forme di investimento a lungo termine delle quali i fondi pensione ne rappresentano uno degli esempi migliori. Nel dibattito corrente viene spesso richiamata la necessità di rilanciare un semestre di scelta come quello effettuato nel 2007. Indubbiamente un intervento di questo tipo potrebbe far crescere, nel breve termine, il numero degli iscritti ai fondi pensione. Tuttavia, occorre considerare che una tale misura potrebbe generare soltanto un picco di adesioni, senza però offrire una soluzione in grado di assicurare, nel tempo, una adeguata diffusione della previdenza complementare.

È quindi importante intervenire sull’attuale quadro normativo, introducendo delle soluzioni “di sistema” con l’obiettivo di porre le basi per migliorare il processo di adesione e l’interesse ai fondi pensione. In particolare, come già più volte segnalato dall’Associazione a partire dal 2020, riteniamo di fondamentale importanza introdurre delle misure volte a:

- rafforzare il sistema del silenzio assenso e trasformarlo in un meccanismo di adesione automatica;

- rivedere la default option per accompagnare l’aderente verso prestazioni adeguate nel lungo termine;

- garantire una maggiore flessibilità in uscita per attrarre l’interesse dei risparmiatori.

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