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Profumo (OPIT e Isybank), non esiste evoluzione senza ibridazione

8/30/2024 | Francesco D'Arco

L’innovazione digitale e la trasformazione sociale saranno possibili solo se gestiremo la transizione culturale, secondo il rettore di OPIT e presidente di Isybank.


Quando parliamo di innovazione tecnologica intendiamo realtà che ancora sono lontane dalla “piena maturità” in termini di conoscenze e competenze. Per questo sono tanti i timori che oggi accompagnano i dibattiti intorno alla intelligenza artificiale ma, in verità, “tutti i rischi dovrebbero essere interpretati come un’opportunità”. 

Francesco Profumo (in foto), rettore di OPIT - Open Institute of Technology e presidente di IsyBank (gruppo Intesa Sanpaolo), nel riflettere sull’AI cosiddetta generativa, e sui suoi impatti nei vari settori (in primis quello finanziario), invita a partire da  questo presupposto positivo. 

“Per rendere l’AI un’opportunità è necessario che vi sia una regolamentazione in grado di evitare che i rischi che si possono generare prendano il sopravvento”, spiega subito l’ex-Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca durante il Governo Monti (2011 - 2013). 

“Da questo punto di vista l’Europa, con quello che viene chiamato l’AI Act, ha avviato un percorso estremamente virtuoso”. Insomma, come “tutte le grandi novità anche l’AI ha bisogno di essere regolata, senza che questo si traduca in un tarpare le ali della sua evoluzione. Serve, come sempre, un equilibrio tra sviluppo e regolamentazione”.

Ma la domanda che molti si pongono, in numerosi ambiti lavorativi, riguarda il ruolo che l’intelligenza artificiale generativa debba assumere all’interno di un’attività, e spesso le risposte si dividono tra chi teme una sostituzione totale dell’uomo e chi invece crede che andremo verso un supporto utile e produttivo. Anche su questo fronte il professor Profumo mostra una razionalità che dovrebbe caratterizzare tutti i dibattiti intorno al tema AI.

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“Sono abbastanza certo che, su tutte quelle attività in cui l’intelletto è predominante, il fattore umano sarà sempre prevalente. Negli ambiti caratterizzati, invece, da attività più ripetitive e dove, per così dire, le mansioni intellettuali sono ridotte, l’ausilio dell’intelligenza artificiale generativa potrà essere particolarmente interessante e, probabilmente, sarà anche in grado di migliorare la qualità del prodotto finale” chiosa Francesco Profumo, che però avverte: “Sarà in tutti i casi fondamentale avere persone informate intorno al tema dell’AI. Quando parliamo di innovazione, e in particolare di intelligenza artificiale, diventa imprescindibile poter contare su professionisti e cittadini in grado di interagire in modo appropriato con i nuovi sistemi generativi”.

E, da questo punto di vista, come sottolinea il rettore di OPIT “siamo ancora nella fasi iniziali di un percorso che deve portare alla formazione di una società attrezzata, sia sul fronte delle conoscenze, sia su quello delle competenze. Tenendo ben presente che le conoscenze sono quella parte di bagaglio che ci accompagna per tutta la nostra vita, mentre le competenze sono più specifiche e legate ad un prodotto/servizio preciso”. 

Per questo è importante distinguere, quando si parla di formazione in tema AI, tra i due ambiti. E per questo servono persone in grado di formare professionisti e cittadini chiamati a interagire con l’AI. 

Sfida tutt’altro che semplice perché “siamo in una fase embrionale e ci troviamo di fronte a una accelerazione che era difficile da prevedere e immaginare” spiega Francesco Profumo. “Siamo nel pieno di una rivoluzione industriale che, come avvenuto per quelle precedenti, non porterà a una sostituzione dell’uomo ma a un nuovo percorso evolutivo. Dobbiamo attrezzare la società per metterla in condizione di interagire con sistemi nuovi e complessi”.

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Ed è questo lo spirito che ha portato alla nascita del progetto Open Institute of Technology ? “Anche. OPIT nasce un paio di anni fa dopo una attenta osservazione della società che stava (e ancora sta) vivendo un cambiamento rapido che richiede nuove competenze. La forte accelerazione evolutiva legata all’AI (e non solo) ha generato una crescente domanda di conoscenze e competenze. Da qui lo sviluppo di un’offerta capace di sopperire alle difficoltà, che inevitabilmente, accompagnano le istituzioni più tradizionali. Da qui la scelta di costituire un soggetto nuovo”.

Ma dove si trovano i formatori in grado di trasmettere le “nuove competenze” necessarie? “Serve un nuovo approccio da un punto di vista pedagogico e formativo, per questo oggi definirei OPIT un’istituzione aperta che ha capacità e possibilità di acquisire sul mercato professionisti che provengono da mondi diversi (accademico e aziendale; tradizionale o innovativo), e che siano in grado di trasmettere quelle competenze utili per gestire il rapporto con una tecnologia che in passato non esisteva e che, soprattutto, cambia con rapidità inconsueta” risponde il professor Profumo. “Per questo abbiamo cercato fin da subito di strutturare OPIT in modo che potesse rigenerarsi continuamente e velocemente, tanto quando la stessa AI. Questo significa che nella nostra offerta ci sono dei punti fermi, in termini di conoscenze trasmesse, e dei punti in evoluzione, in termini di competenze”. 

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“Viviamo in un periodo storico in cui diventa fondamentale acquisire la capacità di contaminarsi. O meglio il sistema deve essere in grado, a tutti i livelli, di “ibridarsi”, ovvero di non pensare solo a se stesso, ma di pensare ad un sistema complesso che sta attraversando diverse transizioni” spiega Profumo. Transizioni che vengono così definite dal manager: “Tutti abbiamo ben in mente il concetto di transizione digitale, ma non dobbiamo perdere di vista il valore della transizione sociale che vede le persone, che credevano di avere tutti gli strumenti necessari per gestire le evoluzioni della vita personale e professionale, scontrarsi con un cambiamento così rapido da mettere in gioco ogni tipo di conoscenza e competenza. Ma se l’innovazione digitale genera un’inevitabile trasformazione sociale, per superare e gestire questi cambiamenti serve una gestione accurata di una terza transizione, la più difficile: quella culturale. E c’è solo un modo per affrontare questo tipo di evoluzioni: le ibridazioni, ovvero il continuo confronto e scambio di idee e competenze tra soggetti differenti in termini di età, genere, background, storia personale e professionale.

Una sfida che riguarda in maniera particolare il mondo delle istituzioni finanziarie e degli stessi clienti

Oggi il settore vede una netta distinzioni tra grandi realtà tradizionali - che hanno, volendo, la forza economica per innovare, ma si scontrano con la difficoltà nel trasformare la propria cultura aziendale - e attori nuovi che nascono “fintech” e quindi più propensi a evolvere sulla scia delle continue trasformazioni tecnologiche. 

D’altro canto gli stessi clienti possono essere divisi in due grandi categorie, quelli che hanno difficoltà a interagire con le nuove tecnologie, e che sono chiamati a superare barriere culturali e di competenze importanti, e quelli (generalmente più giovani) che invece cercano solo l’innovazione ma che rischiano di affrontare la finanza senza le giuste conoscenze di base.

Su entrambi i fronti serve un percorso che consenta di creare quelle connessioni tra tradizione e innovazione che permettano di formare efficacemente professionisti e clienti attrezzati a gestire il patrimonio finanziario (e non) con il nuovo supporto dell’intelligenza artificiale generativa.

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