Steve Jobs è entrato nel Pantheon della iGeneration, idolatrato dalla sua gente e pianto in tutto il mondo come poche altre icone del dopoguerra: Papa Giovanni XXIII, John prima e Robert Kennedy dopo, Martin Luther King, John Lennon, la principessa Diana.

Chi ha creduto in lui, come il protagonista del film Forrest Gump, è diventato straordinariamente ricco. Ma quanto ricco? Si può fare qualche calcolo. Apple fu fondata nel 1977 ma andò in borsa il 12 dicembre del 1980, al prezzo di collocamento di 22 dollari, che rettificato per successive operazioni sul capitale equivale a 2,75 dollari. Dopo 31 anni circa, il prezzo è pari a 378 dollari, dopo aver sfiorato i 400. Il tasso interno di rendimento del titolo, dividendi esclusi (ma Apple non è mai stata generosa su questo) sarebbe quindi pari a poco più del 17% all’anno. 

 

In realtà, come lo stesso Jobs ha ricordato nel memorabile discorso tenuto nel 2005 all’università di Stanford (il video è su Youtube, fatelo vedere ai vostri figli), pur essendone il co-fondatore nel 1985 fu licenziato da Apple. Tornò al vertice del gruppo solo nel dicembre del 1996, quando Apple acquistò la sua società Next (l’altra sua creatura fondata dopo l’allontanamento, la Pixar, fu acquistata in seguito dalla Walt Disney in cambio di proprie azioni, tanto che gli eredi di Jobs sono ora il singolo maggiore azionista del colosso dell’entertainment). Allora il titolo quotava 6 dollari. Chi avesse avuto fiducia nel suo ritorno, da allora a ieri avrebbe avuto un simpatico ritorno medio del 31% l’anno. 

 

Ultimo particolare: la capitalizzazione di borsa dell’intera borsa italiana il giorno prima della morte di Jobs era di 334 miliardi di euro. Quella di Apple era pari a 264 miliardi di euro (354 miliardi di dollari). Da solo, Steve valeva l’80% di tutta la borsa italiana. Sarà dura per chi lo sostituisce fare altrettanto. Se voi foste azionisti dell’Apple, restereste ancora fedeli al dio Steve?