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Ce la facciamo (anche da soli)

9/12/2011

L'editoriale di Ferruccio de Bortoli sulla situazione dell'economia italiana e l'intervento d'aiuto della Bce


 

Dieci anni fa scrivemmo su questo giornale «Siamo tutti americani», oggi ci piacerebbe scrivere «Siamo tutti italiani». Ma abbiamo qualche dubbio. Le dimissioni di un membro tedesco della Banca centrale europea, contrario all'acquisto di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, tra cui i nostri, ha fatto precipitare i mercati nel caos. Aspettiamo tutti con ansia la riapertura delle contrattazioni domani, nella speranza che il famoso, o famigerato spread fra Btp e Bund possa ridursi o non ampliarsi troppo.

Jürgen Stark è un tedesco che disprezza il nostro Paese, ma non ha torto quando definisce un bazar il mercato secondario dei titoli del debito. Noi in quel bazar facciamo una pessima figura. Compatiti e irrisi. Un po' da tutti. Anche da chi non ne ha ragione. Dagli spagnoli - che hanno reagito assai bene e con misure bipartisan alla crisi - e dai portoghesi preoccupati della concorrenza che possiamo far loro nel mercato finanziario dei poveri d'Europa. Mancano solo i greci, per ora. La nostra immagine all'estero sarà anche deteriorata dal fatto che, schiacciati dal debito, invecchiamo senza crescere. Le vicende politiche e giudiziarie del premier, fin troppo note, non ci hanno fatto bene. Ma c'è un pregiudizio nei confronti del nostro Paese che ha cause più complesse.

Noi speriamo che la manovra sia sufficiente a dimostrare la volontà italiana di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013. Ha molti difetti, non ci piace, ma è significativo che il Senato l'abbia approvata in fretta e la Camera si appresti a farlo. La settima potenza economica mondiale, la seconda industria manifatturiera d'Europa non può ridursi però a chiedere l'elemosina alla Banca centrale. Non può mostrare una dipendenza patologica da quella che, su queste colonne, Francesco Giavazzi ha definito la morfina della Bce. Gli acquisti da parte della Bce dei nostri titoli sono importanti, ma davvero appaiono indispensabili a un Paese che conserva in molti settori grandezza e prestigio? Certo, abbiamo 1.800 miliardi di debito pubblico, che dobbiamo rinnovare in una percentuale intorno ai 15 punti l'anno. Una spesa pubblica di circa 800 miliardi che è un delitto non ridurre drasticamente. Ma anche, sull'altro piatto della bilancia, più di mille miliardi di patrimonio pubblico, largamente infruttifero; 8 mila e 600 di ricchezza netta delle famiglie e delle imprese, assai meno indebitate di quelle di Paesi che non vorrebbero più, con il sopracciglio alzato, farci credito. Senza ricorrere a patrimoniali e altre tasse (sono già troppe!), siamo sicuri che non possiamo farcela da soli? Tiriamo su la testa. Un po' d'orgoglio.

 

Se vivessimo in un Paese normale, il governo (con un maggior senso di responsabilità da parte dell'opposizione) domani direbbe alla Bce: grazie per tutto quello che avete fatto per noi, ma da oggi, costi quel che costi, facciamo da soli. Una scelta non solo coraggiosa, ma opportuna: tanto fra qualche giorno la Bce smetterà comunque di comprare i nostri titoli. E da novembre, con Mario Draghi al vertice, non ci farà nessuno sconto. Cerchiamo di dimostrare agli investitori, stimolando la crescita (un punto di Pil equivale a 16-17 miliardi) con riforme vere e riduzioni reali delle spese, che investire sui nostri titoli di Stato, al di là di buoni rendimenti, è un affare. Un sussulto di dignità nazionale, via. Qualche volta abbiamo la sensazione che non esista più un governo, ma solo la sua maschera di cera. Se esiste, questo coraggio dovrebbe averlo. Oppure, meglio che la maggioranza ne prenda atto. E presto.

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