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8/31/2011
I conti non tornano. Quelli dell'economia globale, dell'Europa, dell'Italia, della manovra bis. L'esercizio politico di spostare le poste come birilli ha forse preservato il consenso dei rispettivi elettorati, meno i saldi di un provvedimento d'urgenza richiesto dalla Bce per anticipare al 2013 il pareggio di bilancio. Il rischio è che, a breve, quei conti si debbano riaprire per un terzo, doloroso, intervento. Tre manovre in tre mesi, l'Italia come la Grecia, è il pericolo da scongiurare a tutti i costi.
I sintomi, però, ci sono tutti. Il vertice di Arcore ha, di fatto, aperto un primo "buco", stimato dall'opposizione ma anche da studiosi ed economisti in almeno 5 miliardi: tolto il contributo di solidarietà (3,8 miliardi di euro in tre anni), concessi 2 miliardi di minori tagli agli enti locali (diventano 3 se uno si storna dall'introito della Robin Hood tax), le compensazioni paiono evanescenti. La stretta sulle società di comodo, la scure sulle Coop, il gettito dell'evasione passato in gestione ai Comuni, sul pallottoliere della contabilità pubblica per ora valgono zero. Così come le riforme costituzionali (abolizione delle Province e dimezzamento dei parlamentari).
Poi i dubbi di costituzionalità aperti dal caso supertassa, rimasta per pensionati e statali, e dal caso pensioni, che comunque forniranno introiti solo a
partire dal 2013 (500 milioni), fanno pensare ad un'altra falla da riempire. Infine, la delega fiscale da 20 miliardi, corposa ma ancora nebulosa, che nasconde l'aumento dell'Iva.
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