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6/13/2011
Sei settimane di perdite hanno bruciato oltre mille miliardi di dollari sui mercati americani e portato Wall Street sull'orlo di una correzione: l'indice Dow Jones è in calo del 6,7% e lo Standard & Poor's 500 del 6,8%, rendendo plausibile un declino del 10%, soglia tecnica della «correction». Ma sulle piazze azionarie, in realtà, comincia ormai ad aleggiare un altro spettro: quello di scosse ben più forti di salutari ribassi per domare gli eccessi. Soprattutto se a tradire saranno, nei prossimi mesi, i bilanci della Corporate America.
La maggioranza di investitori e analisti è ancora convinta di trovarsi davanti a un «soft patch», una debolezza temporanea di economia e mercati, simile a quella superata alla metà dell'anno scorso. Se la scommessa questa volta dovesse però rivelarsi ottimistica – possibilità che cresce con il susseguirsi di dati deludenti e l'assenza di segnali che la Federal Reserve possa o voglia precipitarsi al soccorso con nuove manovre di stimolo – il risveglio si preannuncia brusco.
Le performance aziendali sono state finora il grande motore dell'avanzata della Borsa. Anche dopo le flessioni gli indici americani restano in rialzo di circa il 20% nell'ultimo anno. In due anni lo S&P 500 si è impennato fino a massimi del 102% e guadagna tuttora l'88 per cento. Il cosiddetto indice della paura, il Vix che misura la volatilità, è fermo sotto quota 20, lontano dalle soglie di 30 o 40 considerate foriere di panico.Un risveglio che potrebbe cominciare proprio dai profitti delle aziende: finora, stando alla società specializzata nel catalogarli FactSet, le previsioni di performance non hanno subito tagli in linea con il ridimensionamento, invece, delle generali aspettative di crescita. Anzi, paradossalmente, il contrario: dall'inizio del 2011 i pronostici degli utili per azione dello S&P 500 sono lievitati di 4 dollari, al record di cento dollari.
Un'ondata di improvvise, drastiche revisioni negative dei conti in un simile clima può cogliere impreparato il mercato, amplificando l'impatto sulla fiducia degli investitori. E smitizzare anche l'idea che le azioni oggi non siano care e quindi attraenti: i rapporti prezzi/utili sono normali (a multipli di 16 sui profitti dell'anno contro una media storica di 15,5) soltanto sulla base di continue robuste performance di bilancio.
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