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5/31/2011 | Redazione Advisor
Nel mondo delle Borsa le dark pool, letteralmente vasca o piscina oscura, sono piattaforme alternative di trading dove non si sa chi compra e chi vende; e soprattutto non sono pubblicati (o lo sono in ritardo) i prezzi e volumi delle transazioni. Insomma, si investe al buio.
Un trading che non dispiace, anzi. I listini oscuri negli Stati Uniti, hanno ormai occupato un posto di primo piano: secondo il broker Rosenblatt, nel 2010, il 13,6% di tutto il controvalore degli scambi nell'equity è passato attraverso i computer dark. E il trend è destinato a crescere: a fine 2011 la market share dovrebbe salire al 15%. Numeri che non rassicurano, ma che forse non stupiscono. Almeno non troppo. Alla fine le sempre maggiori tecnologie cui si è affiancata la deregolamentazione dei mercati, hanno permesso l'esplosione di questi listini laterali.
L'ascesa è costante: nel 2009 valevano lo 0,4% del turnover azionario, una market share salita al 2,5% a fine 2010; il venerdì scorso, ultimo dato disponibile, la quota dei dark order book era del 2,7%. Mentre il nozionale trattato ogni giorno ha raggiunto quasi il miliardo: la media è di 961 milioni.
"Una grossa vendita può influenzare l'andamento del titolo: spostandosi sulle dark pool, il rischio che ciò avvenga si riduce". Insomma, una nobile attenzione all'efficienza dei listini.
A ben vedere però una bella spinta a quello che, nei fatti, è un mercato dei blocchi all'oscuro l'hanno data motivazioni più interessate. In primis, sfuggire ai flash trader. Non di rado i broker più veloci riescono, durante la fase d'impostazione dell'ordine ad anticiparlo.
In questa babele non stupisce, quindi, la richiesta per una maggiore regolamentazione. Negli Stati Uniti le authority hanno ingaggiato con Wall Street un silenzioso braccio di ferro. Era il 2009 e la Sec ha presentato le prime raccomandazioni per far scattare nuove norme di trasparenza sui mercati ombra.
Le auhtority però rilanciano. L'anno scorso i vertici Sec hanno cominciato a prendere in considerazione un'altra misura: il trade at, ossia un meccanismo che imporrebbe a questi listini alternativi di eseguire operazioni solo a una condizione: che il prezzo sia migliore rispetto al best price sul mercato. Ma questa ipotesi ha provocato una nuova ribellione. E anche in Europa non mancano le polemiche tra la Federazione delle Borse (Fese) e gli alternativi. Bisogna attendere la riforma della MiFID: porterà nuova luce o maggiore oscurità?
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