Una ripresa stentata, che ha come conseguenza un ulteriore allargamento dei divario tra l'Italia e i partner europei
Una ripresa stentata, che ha come conseguenza un ulteriore allargamento dei divario tra l'Italia e i partner europei, accompagnata da "una situazione di persistente deterioramento del mercato del lavoro" che penalizza soprattutto donne e giovani, "un'evoluzione stagnante della produttività" e dei salari e una crescita delle esportazioni compensata però da un forte aumento delle importazioni. E' così che appare l'Italia nel "Rapporto Annuale" dell'Istat, presentato questa mattina dal presidente Enrico Giovannini a Montecitorio, alla presenza del presidente della Camera Gianfranco Fini. "Il sistema Italia appare vulnerabile, e più vulnerabile di qualche anno fa", sottolinea Giovannini. E se ci sono circa 295.000 imprese che sono riuscite a prosperare persino nel biennio della crisi (tra il 2007 e il 2009), con conseguenze positive su occupazione, redditività e competitività, il ritorno ai valori precrisi della produzione appare lontanissimo: l'attività produttiva del settore industriale si colloca su livelli inferiori di oltre il 19% rispetto ai massimi dell'estate 2007 (punto di svolta negativo del ciclo).
La stagnazione dell'economia si riflette sul calo del potere dell'acquisto delle famiglie, costrette a erodere i risparmi per mantere stabile il proprio tenore di vita (la propensione al risparmio nel 2010 si è attestata al 9,1%, il valore più basso dal 1990). Ma c'è chi non ha alcun risparmio a cui dare fondo per tirare avanti: circa un quarto degli italiani (il 24,7% della popolazione, più o meno 15 milioni) "sperimenta il rischio di povertà o di esclusione sociale". Si tratta di un valore superiore alla media Ue che è del 23,1%. Le difficoltà economiche accentuano le distanze dagli obiettivi Europa 2020: è in particolare sotto i profili della spesa per ricerca e sviluppo e dell'istruzione che l'Italia appare lontana.
"Il tasso di crescita dell'economia italiana è del tutto insoddisfacente - rileva il presidente dell'Istat - e anche i segnali di recupero congiunturale dei livelli di attività e della domanda di lavoro non sembrano sufficientemente forti e diffusi per riassorbire la disoccupazione e l'inattività, rilanciando redditi e consumi". Di conseguenza, "l'occupazione sta ora crescendo prevalentemente nei servizi a più basso contenuto professionale, a fronte della riduzione del numero delle posizioni più qualificate. Ciò implica, a parità di altre condizioni, un sottoutilizzo del capitale umano, guadagni più bassi, minori prospettive di sviluppo".
Una debolezza strutturale. Non è che l'Italia abbia sofferto così tanto per la crisi che, certo, l'ha colpita. Il problema, osserva l'Istat, è soprattutto che quella italiana "è l'economia europea cresciuta meno nell'intero decennio 2001-2010, con un tasso medio annuo pari allo 0,2%, contro l'1,1% dell'Uem". Risultato: "Il ritmo di espansione della nostra economia è stato inferiore di circa la metà a quello medio europeo nel periodo 2001-2007, e il divario si è allargato nel corso della crisi e della ripresa attuale". Infatti il modesto +1,3% del 2010 si confornta all'1,8% della Uem, l'ancora più modesto +0,1% del primo trimestre 2011 con lo 0,8% della media europea.
La Cig spesso senza ritorno. Ecco perché il mercato del lavoro è "più debole", e presenta "una minore qualità dell'occupazione", come risulta dal titolo del capitolo centrale del Rapporto Istat. Nel biennio 2009-2010 gli occupati sono scesi di 532.000 unità: oltre la metà è concentrata nel Mezzogiorno, anche se la flessione riguarda anche il Nord (-228.000). Il danno peggiore si è prodotto nell'industria (404.000 posti di lavoro persi). La Cassa Integrazione (aspetto sottolineato più volte anche dal governo) ha fatto in parte da paracadute, un ruolo che però è ormai in via di esaurimento; infatti, scrive l'Istat, "circa un quarto di quanti erano in Cig nel 2009 lo sono anche un anno dopo; uno su due ritorna al lavoro e uno su cinque non è più occupato". Ancora una volta, "la situazione è particolarmente critica nel Mezzogiorno, dove si registra il maggior numero di persone in Cig a distanza di un anno e il minor numero di rientri sul posto di lavoro (33,6% a fronte del 64,2% nel Nord) con un flusso più alto di uscite verso la disoccupazione (7,9%) e, soprattutto, verso l'inattività".
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