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Risparmio gestito promosso dagli investitori

7/3/2014 | Marcella Persola

L'indagine del Centro Einaudi evidenzia una maggiore maturità degli investitori che si dicono soddisfatti del comparto e pronti a investirvi nuovamente. Peccato però...


Buone notizie per il mondo del risparmio. Sono aumentati i risparmiatori ed è cresciuta la propensione media al risparmio. E' questa la fotografia che è emersa nel corso della presentazione dell'ultima Indagine del Risparmio condotta da Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo.

Difatti se nel 2007 non era riuscito a risparmiare il 51% del campione, il dato era salito al 61% nel 2013 ma calato al 59% nel 2014. E' salita anche la quota di coloro (dal 16 al 18%) di coloro che dichiarano di aver risparmiato senza una finalità ben specifica. E in questo caso l'accantonamento corrisponde perlopiù a una liquidità messa da parte nel caso di necessità, quindi un'opportunità sicuramente per i professionisti del risparmio.

Non sono cambiati invece gli obiettivi del risparmio: la sicurezza del capitale resta al primo posto, così come l'avversione al rischio da parte dell'investitore. Queste due componenti condizionano molto le scelte di investimento e dirottano gli investitori verso strumenti di liquidità o principalmente monetari.

E nei confronti del risparmio gestito come si pongono i risparmiatori del campione?  L'indagine evidenzia una ritrovata fiducia negli investimenti mobiliari. Quest'anno in particolare il 4% del campione dichiara di aver acquistato quote di fondi comuni e Sicav, il 6,7% di essersi affidato a una gestione patrimoniale e il 3% di aver investito in ETF.

Ma chi sono questi investitori? L'indagine mostra che sono i più abbienti del campione, ossia i grandi (22,8%) e medi (20%) risparmiatori, le famiglie con tre persone produttrice di reddito (22,6%), gli imprenditori e liberi professionisti (20,9%), i dirigenti e funzionari (18,2%) e chi dispone di un reddito mensile superiore ai 2.500 euro (19,5%). Quindi a conferma che le probabilità di investire nel risparmio gestito cresce con l'aumentare del livello di istruzione. Infatti agli ultimi posti si colloca chi non risparmia (4%), chi fugge dal rischio (5,2%) e chi guadagna meno di 1.600 euro al mese (5,5%). Questa categoria preferisce indirizzarsi verso altre forme di investimento, in genere obbligazioni o detiene la liquidità in conto corrente.

Un altro dato molto interessante che l'indagine evidenzia è che è diminuita la quota di "sottoscrittori per la prima volta", a conferma che c'è un consolidamento della fiducia verso il comparto da parte di coloro che vi hanno investito, ma che non ci sono stati ulteriori spazi di conquista.

Inoltre il 54,2% dei detentori di fondi impiega in tale strumento circa il 10-30% del proprio patrimonio, mentre il 22,9% meno del 10%. Il risultato è il più alto dal 2011, ed è un'ulteriore conferma della fiducia degli investitori verso il comparto. Ad influenzare probabilmente tale fiducia è anche la soddisfazione nei confronti dei prodotti e nella performance di quest'ultimi. Fino al 2005 infatti la soddisfazione per i fondi era prettamente legata alla performance dei mercati. Gli investitori misuravano la propria soddisfazioni sui rendimenti attesi, tanto da uscire dal comparto alla prima avvisaglia di tempesta. Oggi invece sembra che l'investitore sia maturato e vuoi anche perché l'offerta è riuscita a costruire dei prodotti con livelli di rischi diversi, quindi più adatti alle singole esigenze, dichiarano di aver imparato a diversificare e a non fuggire dai fondi nel momento sbagliato. L'indice di soddisfazione è quindi più alto, se confrontato anche con quello di chi investe nelle azioni e nelle obbligazioni.

Oltre la maturità dell'investitore c'è da evidenziare che tale cambiamento è frutto anche di una maggiore relazione con i consulenti finanziari. Difatti un investitore su sei ha investito perché certo di affidarsi a esperti, e uno su sette (14,2%) perché si è fidato del proponente (cioè del pf, della banca e del proprio consulente).

Ma coloro che invece se ne tengono lontani perché lo fanno? Sono molteplici le ragioni che li tengono alla larga: il 59,4% non dispone delle risorse necessarie; il 17,6% la persistente preferenza per il fai da te in materia di investimenti; il 10,8% indica l'incertezza sul valore di riscatto rispetto alla sottoscrizione; il 6,8% per i costi troppo elevati; il 13,6% per le esperienze negative dei propri conoscenti e familiari e il 6,9% perché i fondi non pagano cedole come le obbligazioni.

Risposte interessanti sulle quali bisognerebbe riflettere e che possono essere utili ai consulenti per "scacciare" dei falsi miti.

 

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