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11/10/2017 | Davide Mosca
Dodici mesi di Donald Trump alla Casa Bianca hanno significato per l'azionario statunitense una crescita di oltre il 22%, in linea con l'azionario globale cresciuto del 21,2% nello stesso periodo. Il rally ha però origini remote che nello specifico risalgono al minimo dell'S&P 500 di marzo 2009. "Il ritmo di crescita maggiore - spiega Keith Wade, chief economist di Schroders - è stato registrato subito dopo le elezioni, grazie al cosiddetto Trump Trade: la speranza nei tagli fiscali, nelle politiche a sostegno della spesa, come nel settore delle infrastrutture, e nella generazione di pressione inflattiva, che può rendere i titoli azionari più attraenti."
Per quantlo riguarda i Treasury, fa notare inoltre Wade, l’attesa per un aumento della spesa da parte dell’amministrazione Trump e gli effetti inflazionistici connessi hanno portato ad una drastica discesa dei prezzi. Corrispondentemente si sta assistendo ad un aumento dei rendimenti obbligazionari negli Stati Uniti, spinti anche dall'aumento dei tassi di interesse all'1,25% da parte della Federal Reserve.
"Trump - fa notare infine il chief economist di Schroders - ha incontrato diverse difficoltà nel far passare le proposte della campagna elettorale al Congresso, facendo nascere dubbi sul recente rally nell’azionario. I titoli nel settore finanziario, come le banche e le assicurazioni, sarebbero i maggiori beneficiari di una deregolamentazione finanziaria e sono infatti cresciuti del 35,5% negli ultimi 12 mesi." Una deregolamentazione che, però, così come altre riforme promesse dall'amministrazione Trump, deve ancora vedere la luce e la cui effettiva realizzazione non può essere data per certa.
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