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9/1/2017 | Timothee Pubellier*
I primi cento giorni rappresentano un importante checkpoint per qualsiasi presidenza. Il presidente Macron, il più giovane leader francese da Napoleone, ha conquistato l’Eliseo dopo una stimolante campagna elettorale che gli ha dato un notevole credito politico. I primi giorni del suo mandato sono stati idilliaci ma le nuvole hanno cominciato rapidamente ad accumularsi intorno a “Giove”, come è stato soprannominato Macron.
A 100 giorni dal suo insediamento all'Eliseo, solo un terzo dei francesi (36%) si è detto soddisfatto dell’operato del presidente, rispetto al 46% dei consensi raccolto nel 2012 da François Hollande, con Macron che ha archiviato il peggior risultato mai registrato da un presidente francese dopo i primi 100 giorni. Per darne un’idea più precisa, Macron è andato persino peggio di Donald Trump che è alle prese con la minaccia di una guerra termonucleare con la Corea del Nord. Le prospettive sono anche peggiori dal momento che solo il 23% degli intervistati ritiene che il Paese stia andando nella giusta direzione rispetto al 45% di agosto 2007, a tre mesi dall'elezione di Nicolas Sarkozy.
Macron ha mantenuto alcune delle sue promesse più emblematiche: ha posto fine alle vecchie divisioni tra destra e sinistra con la formazione di un governo progressista, ha rinnovato in maniera profonda l’Assemblea Nazionale, ha riaffermato le proprie priorità politiche, ossia “ristabilire la fiducia della gente nei confronti delle istituzioni democratiche, rinnovare il modello sociale, riformare il sistema dell'istruzione, sostenere la transizione ecologica e ritornare alla promessa europea”. I primi tre mesi del presidente francese sono stati inoltre segnati dalle questioni internazionali, con le visite in Francia del presidente americano Donald Trump e della controparte russa Vladimir Putin.
Cos’è andato storto quindi? Le prime avvisaglie sono arrivate con “les affaires” giudiziari che hanno indotto quattro ministri del suo governo a rassegnare le dimissioni in circostanze poco chiare. Anche la mancanza di esperienza parlamentare del partito di Macron (La République en Marche) ha contribuito a gettare ombre sulla capacità del presidente di introdurre radicali riforme nel Paese. La ciliegina sulla torta è giunta senza ombra di dubbio dal fronte sociale, ovvero dall’incombente riforma del mercato del lavoro, basata su decisioni parlamentari piuttosto che un voto, e dal pianificato taglio dei contributi per gli alloggi.
I saliscendi di popolarità del presidente francese, che presto si troverà a dover gestire i movimenti sociali attesi per l’autunno, si sono ad ora fatti sentire ben poco sull’andamento dei titoli di Stato. Dopo le elezioni, i rendimenti degli OAT, infatti, sono stati per lo più trainati dai flussi provenienti dal Giappone e dalla Bce. Nel primo caso, dopo essere stati venditori netti nel periodo antecedente le elezioni, post-voto gli investitori nipponici hanno ripreso gli acquisti facendo progressivamente scendere lo spread OAT/Bund, salito a 80 punti base, fino a 30 punti base. Di supporto anche il discorso di Draghi a Sintra, che ha innescato un’ondata di vendite massicce che ha favorito gli OAT rispetto ai Bund, e gli acquisti del Qe, che si sono orientati soprattutto verso Francia (e Italia).
In considerazione di ciò è consigliabile evitare di speculare sugli spread OAT/Bund e assumere una posizione neutrale: non c’è margine di ulteriore contrazione e i Bund tendono a sovraperformare quando diminuisce la propensione al rischio.
*Timothee Pubellier, fixed income manager di Kames Capital
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