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8/25/2017 | Léon Cornelissen*
I britannici hanno sorpreso il mondo il 23 giugno 2016 votando di lasciare l’Unione Europea dopo 43 anni di un matrimonio per lo più burrascoso. La Nazione è uscita spaccata dal referendum, con appena il 51,9% della popolazione favorevole all’uscita e il 48,1% a favore della permanenza nell’Unione. Ma la “libertà” ha un costo e le conseguenze sono state immediate. La sterlina è crollata, l’inflazione è in aumento e la crescita del Pil ristagna per via della crescente paura che le società che maggiormente si affidano a lavoratori stranieri, come nell’agricoltura, soffriranno, una volta che saranno istituiti i controlli sui migranti.
L’introduzione del termine “Brexit” nel lessico inglese non è l’unica parola con il suffisso “-xit”. La Scozia, che resta anti-Brexit, sta cercando la propria “Scoxit” per separarsi dal Regno Unito, mentre l’Irlanda del Nord, favorevole alla permanenza nell’Unione, potrebbe cercare di riunificarsi con la Repubblica d’Irlanda in quella che si potrebbe definire “Nixit”, lasciando come potenziali superstiti del Regno Unito solo Inghilterra e Galles.
Non vanno poi dimenticati i problemi legati alla continuità del ruolo della città di Londra, che potrebbe dar vita a un “Brexodus” da parte delle società finanziarie alla ricerca di una nuova sede all’interno dell’Unione Europea.
Infine, vi sono anche le questioni legate ai reperti dell’originario Impero Britannico, come Gibilterra, territori come l’isola di Man e colonie lontane come le isole Chagos, che stanno dando vita ai propri movimenti di indipendenza.
La Brexit rappresenta la più grande decisione politica ed economica nella storia moderna dell’Inghilterra e ha lasciato il Paese più diviso che mai. I sondaggi mostrano che anche chi ha votato per lasciare l’Unione ora se ne pente e la sua eredità – a prescindere dal fatto che sarà siglato un nuovo accordo commerciale o meno – avrà effetto per generazioni.
Il raggiungimento di un qualche accordo commerciale di sorta resta comunque possibile per il Regno Unito; molti commentatori sono più preoccupati delle tempistiche molto strette nelle quali deve essere trovata un’intesa che possa rimpiazzare, o quanto meno replicare parzialmente, ciò che era disponibile per decenni nell’ambito del Mercato Unico. Questo compito spetta al Dipartimento per l’uscita dall’Unione Europea e al suo team di negoziatori.
Per quanto riguarda l’Europa, la vita al di fuori del blocco deve apparire molto meno piacevole rispetto che all’interno. Semplicemente non è nell’interesse dell’Unione offrire alcun accordo che faccia sembrare che l’uscita di un Paese possa avvenire senza alcun costo. Come nei divorzi non consensuali, non ci aspettiamo che l’Europa sia pronta a fare alcuno sconto. Anzi, è molto più probabile che faccia il gioco duro.
* Léon Cornelissen, capo economista di Robeco
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