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12/12/2016
Due terzi dei gestori britannici teme di non poter vendere i propri fondi comuni nel Vecchio Continente dopo l'effettiva uscita del Regno Unito dall'Unione europea. Il dato emerge da un recente sondaggio effettuato tra 644 professionisti che lavorano per 400 gestori della City condotta da Pwce per FTfm, rappresentativi di un'industria che impiega 50.000 persone e gestisce 7 trilioni di sterline. Secondo il 70% delle risposte al sondaggio, è improbabile che i gestori di patrimoni britannici riusciranno a mantenere tutti i privilegi concessi dal passaporto europeo che ha permesso fino a oggi alle istituzioni finanziarie d'Oltremanica di poter accedere ai mercati Ue tra cui l'Italia.
Ad alimentare i timori dei gestori sono state anche le dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesche Wolfgang Schauble, che ha avvertito più volte i britannici: "Leggi più restrittive sugli ingressi degli immigrati dalla Ue nel Regno Unito farebbero automaticamente perdere il passaporto europeo a tutte le istituzioni finanziarie britanniche". La libera circolazione delle persone, insieme con la libera circolazione delle merci e delle persone, è infatti una delle quattro libertà fondamentali garantite dall’ordinamento giuridico dell’Unione Europea.
Tuttavia, la maggior parte degli asset manager, per lo meno quelli più grandi, hanno già filiali in Lussemburgo e Dublino, dove sono stati autorizzati fondi Ucits di diritto lussemburghese o irlandese per i clienti dell'Unione europea. Il problema principale, quindi, più che sul fronte legale, sembra essere sulla gestione delle risorse umane: l'85% dei partecipanti ritiene che sarà necessario spostare parte dello staff da Londra alle altre capitali finanziarie europee. Del resto i professionsiti intervistati da Ftfm ammettono che la principale preoccupazione è la possibilità di impiegare personale Ue nel Regno Unito in futuro a seguito di restrizioni che potrebbero sorgere con Brexit.
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