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Metalli e terre rare trainano il rialzo delle commodity

8/20/2024 | Max Malandra

L’oro ha trascinato i panieri di materie prime, ma il focus degli investitori è soprattutto su metalli, terre rare e uranio necessari per la transizione energetica.


Dopo il balzo del 2022 dovuto all’inizio della guerra tra Russia e Ucraina e la successiva correzione, le commodity hanno ripreso la propria fase rialzista e si sono posizionate su livelli elevati, non distanti dai massimi degli ultimi 12 anni. 

Una commodity che ha trainato i principali indici di settore è stata senz’altro l’oro, che ha aggiornato ripetutamente i record storici oltre 2.400 dollari per oncia a luglio.

“L’oro ha fatto molto bene nel primo semestre, nonostante tassi di interesse reali elevati e l’atteggiamento risk on dei mercati finanziari - conferma Bruno Rovelli, Managing Director e Chief Investment Strategist di BlackRock Italia - Continua a mantenere una correlazione limitata con la direzionalità dei mercati azionari e dell’ambiente macroeconomico. L’andamento per noi resta guidato dalla diversificazione delle riserve valutarie delle banche centrali soprattutto dei Paesi emergenti”.

“Secondo il World Gold Council, le banche centrali hanno acquistato 64 tonnellate d'oro nei mesi di gennaio e febbraio del 2024, ovvero il 43% in meno rispetto allo stesso periodo del 2023, ma il quadruplo rispetto al 2022” interviene Nitesh Shah, Head of Commodities and Macroeconomic Research, WisdomTree. “Se si considera che gli acquisti di oro da parte delle banche centrali hanno raggiunto i massimi storici nel corso dell'intero 2022, e che la maggior parte degli stessi si è verificata nell'ultima parte dell’anno, potrebbe essere troppo presto per dire se il trend finora registrato nel 2024 sia indicativo di ciò che avverrà da qui a dicembre. Anche gli acquisti al dettaglio possono aumentare, nei periodi di insoddisfazione per i risultati delle elezioni. Ci aspettiamo che la domanda di oro rimanga forte alla luce del fitto calendario elettorale, oltre che delle guerre in corso”.

Accanto all’oro, anche l’argento è considerato una riserva di valore da migliaia di anni. Essendo però più abbondante dell’oro, nelle fasi di crisi o di shock geopolitici o economici gli investitori si rifugiano nell’oro, ma quando le condizioni si stabilizzano, tornano a guardare all'argento, che così sovraperforma.

“L'argento è al centro della transizione energetica - spiega Angus Poland, analista, strategie sulle risorse naturali di Man Group - Con il passaggio dagli idrocarburi all'energia elettrica, cresce la domanda di circuiti, interruttori e motori, che utilizzano tutti l'argento. Si prevede che questa domanda aumenti con l'aumento dei veicoli elettrici, dell'intelligenza artificiale e dei datacenter. L'uso finale più significativo dell'argento è quello dei pannelli solari, ognuno dei quali necessita di 10-20 grammi di argento per kilowatt. Bloomberg stima che quest'anno saranno costruiti oltre 500 gigawatt di unità fotovoltaiche (PV), che richiederanno circa 250 milioni di once d'argento, pari al 30% dell'offerta mineraria mondiale. La domanda è in rapida crescita, con un aumento del 67% delle installazioni fotovoltaiche solo tra il 2022 e il 2023. L'offerta di argento estratto ha raggiunto il picco nel 2016, poi ha ristagnato a causa della mancanza di investimenti: i prezzi bassi e i severi requisiti ambientali, sociali e di governance hanno scoraggiato le nuove miniere. Il Silver Institute prevede una diminuzione dell'1% dell'offerta totale di argento nel 2024, che porterà a un deficit di mercato previsto di 215,3 milioni di once, il secondo più grande in oltre 20 anni”.

Oltre all’argento, però, anche i metalli e i minerali sono componenti critici del futuro sistema energetico. “Quelli di importanza cruciale (come litio e cobalto) attirano per la loro scarsa disponibilità o concentrazione della lavorazione e sono legati alla tecnologia di accumulo di energia e vendite di veicoli elettrici” spiegano gli esperti di Jennison Associates (affiliata PGIM).

“Il rame è invece essenziale per elettrificazione, generazione di energia, trasmissione e veicoli elettrici. Con proprietà uniche, è difficile pensare a sistemi elettrici senza rame: la domanda globale è così destinata a più che raddoppiare entro il 2050. Ma la costruzione di una nuova miniera richiede anni e costa miliardi. Due società di estrazione del rame, Ivanhoe Mines ed Ero Copper, possono offrire solide prospettive di crescita: producono già rame in modo efficiente, ma possono anche espandere la produzione in tempi rapidi per soddisfare la crescente domanda. Per gli investitori in debito, Southern Copper e Freeport-McMoRan sono grandi produttori con economie di scala, flussi di cassa stabili dalle attività correnti e bilanci solidi”.

Le materie prime critiche e le terre rare sono fondamentali per la transizione energetica verso Net Zero, a causa del loro utilizzo nelle tecnologie energetiche a bassa impronta di carbonio, tanto che, secondo l'International Energy Agency, la domanda di questi minerali aumenterà di quasi quattro volte entro il 2030, poiché sono essenziali nei settori dell'elettronica, dell’automotive e dell'aeronautica.

Come spiega Ilaria Gentili, Senior ESG Analyst parte del team ESG & Strategic Activism di Eurizon, “le materie prime critiche sono materiali che hanno un’importanza economica strategica ma che allo stesso tempo sono caratterizzati da un alto rischio di fornitura. Tra queste rientrano le cosiddette terre rare, indispensabili per la produzione di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e batterie per auto elettriche. Secondo le stime del Dipartimento per gli Affari Europei Italiano, entro il 2030 il fabbisogno europeo di litio crescerà di 18 volte e di cobalto di 5 volte rispetto ai livelli attuali, per via del ruolo che questi hanno nella fabbricazione di batterie per veicoli elettrici e stoccaggio di energia; si prevede che nel 2050 questo fabbisogno crescerà fino a 60 volte in più per il litio e 15 volte in più per il cobalto rispetto ai livelli attuali”.

La domanda di terre rare è destinata ad aumentare in maniera esponenziale, ma le riserve globali di questi elementi sono geograficamente concentrate solo in alcuni paesi, come il Vietnam, il Brasile, la Russia, l’India e soprattutto la Cina, che è il principale fornitore e produttore mondiale, con le maggiori riserve (44 milioni di tonnellate), il più alto volume di estrazioni all’anno (140,000 tonnellate), e che rifornisce il 100% delle terre rare all’Unione Europea.

“la Cina possiede oltre l'80% della capacità mondiale di trasformazione dei concentrati o carbonati di terre rare in materiali utilizzabili dai produttori. Poiché le economie occidentali stanno cercando di ridurre al minimo la loro dipendenza dalla Cina per le materie prime essenziali, si prevede che diversi paesi, tra cui Stati Uniti, Australia, Brasile e Vietnam, aumenteranno le loro attività nei prossimi anni” conclude Mobeen Tahir di WisdomTree.

Infine, controverso ma al tempo stesso incluso nella tassonomia verde dell’Unione Europea, è l’uranio: dopo un rally durato due anni, è ancora appetibile? “L'attuale prezzo dell'uranio, se aggiustato per l’inflazione, è ancora al di sotto del livello record del 2007-2008 e a sconto di oltre il 50% rispetto al livello raggiunto prima dei tragici eventi di Fukushima del 2011 – mette in chiaro Marco Mencini, Head of Research di Plenisfer Investments SGR - Ma a farci ritenere che le valutazioni siano destinate a salire ulteriormente è soprattutto l’attesa di una domanda in crescita, rispetto a un’offerta che resta limitata. In particolare, la Cina mira a quadruplicare la sua base nucleare installata con nuovi 150 reattori entro il 2040. 

La domanda di uranio della Cina passerà quindi dagli attuali 26 milioni a 80 milioni di barre all'anno A conferma di tale necessità crescente, la Cina è stata molto attiva nella contrattazione dell'uranio, con le utility alla ricerca di grandi contratti strategici ultraventennali orientate ad assicurarsi corretti volumi di approvvigionamento. 

Guardando al mercato globale, oggi al mondo sono in servizio circa 440 reattori nucleari che generano approssimativamente 390 GW di energia - ovvero circa il 9% della fornitura globale di elettricità– e consumano circa 180 milioni di libbre di uranio all’anno. Tale domanda annuale di uranio viene attualmente soddisfatta attraverso una produzione pari a circa 140 milioni di libbre cui si aggiungono le forniture derivanti dal mercato secondario. 

Sulla base dei piani di investimento annunciati, l’energia elettrica da nucleare dovrebbe sostanzialmente raddoppiare entro il 2050. In tale calcolo non vengono peraltro considerati i piccoli reattori modulari, o il potenziale raggiungimento dell'obiettivo di emissioni nette zero, che porterebbero, a nostro avviso, la domanda di energia nucleare a superare facilmente i 1000 GW entro il 2050. 

Poiché per produrre un GW si consumano circa 460.000 libbre di uranio all'anno, l'offerta, oggi pari a circa 180 milioni di libbre, deve più che raddoppiare nei prossimi 25 anni, per soddisfare una domanda potenzialmente pari a 460 milioni di libbre” conclude Mencini.

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