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La risacca demografica

10/16/2024 | Kim Catechis*

La longevità ha degli effetti positivi e negativi, tra cui il potenziale rinvio della spesa per il pensionamento e l’inevitabile aumento dei costi sociali


La longevità è un potente motore socioeconomico, politico e, per estensione, geoeconomico dei premi per il rischio paese.

L’aspettativa di vita è andata aumentando in tutto il mondo. Le persone vivono più a lungo e i tassi di natalità sono in calo. Quest’andamento è particolarmente visibile nei paesi sviluppati, dove i cambiamenti nelle strutture anagrafiche delle popolazioni danno origine a gruppi di anziani ancora più estesi.

Globalmente, tra il 2000 e il 2019, l’aspettativa di vita è aumentata da 66,8 anni a 73,4 anni.

In generale, molti presumono che un “contraccolpo” sulla crescita economica dei paesi che stanno invecchiando più rapidamente sia consequenziale e inevitabile. La realtà è più complessa; il fattore demografico non ha niente a che fare con il destino, poiché permette di stabilire parametri sui quali governi, istituzioni, imprese e cittadini teoricamente possono lavorare.

Non essere preparati al cambiamento innesca timore. I cittadini consapevoli che la propria aspettativa di vita si sta prolungando tendono a temere per la propria salute, la possibile comparsa di demenza o di un calo cognitivo, l’accessibilità delle abitazioni, l’adeguatezza dei propri risparmi e così via. Per le istituzioni e i servizi sanitari statali, le preoccupazioni riguardano comprensibilmente le passività legate all’assistenza sanitaria che accompagnano una popolazione in via di invecchiamento. Per gli Stati Uniti, ad esempio, l’attuale valore netto stimato dei costi aggiuntivi per l’assistenza sanitaria nel 2050 (in base alle tendenze correnti dell’invecchiamento e della natalità) è equivalente al 117% del prodotto interno lordo (PIL) del 2023. Per la Corea del Sud è il 75% del PIL del 2023, mentre per il Giappone le cifre sono migliori, essendo pari al 37%. Il Regno Unito è vicino al 50%, mentre quasi tutti i paesi europei si collocano tra il 25% e il 35% del PIL del 2023.

Questo quadro è meno allarmante per le nazioni sviluppate, considerando il valore attuale netto degli ulteriori debiti per le pensioni che accompagnano una popolazione in invecchiamento. Per gli Stati Uniti, ad esempio, l’attuale valore netto stimato dei costi extra sulla pensione nel 2050 (in base alle presenti tendenze dell’invecchiamento e della natalità) è equivalente al 15% del prodotto interno lordo (PIL) del 2023.

Nel caso della Cina, la portata dei debiti futuri su pensioni e assistenza sanitaria (rispettivamente 90% e 22%) sembrerebbe essere dovuta alla debolezza degli ammortizzatori sociali del paese. Potrebbe sembrare controintuitivo per un paese comunista, ma la spesa nazionale per la previdenza sociale è appena la metà della media OCSE pari al 21% del PIL, anche con un profilo demografico in via di invecchiamento. Questa mancanza di sicurezza si riflette nel tasso elevato dei risparmi del paese, equivalente al 46% del PIL.

Una scuola di pensiero ampiamente diffusa sostiene l’importanza della struttura della popolazione come propulsore dello sviluppo economico. Secondo la definizione dello United Nations Population Fund, esiste un dividendo demografico, ossia un periodo di accelerazione della crescita economica che può verificarsi quando un paese ha una popolazione di lavoratori crescente, essendo questi produttori di ricchezza economica. Chiaramente, chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro deve essere istruito, in buona salute e in grado di accedere a impieghi dignitosi. Viene così rafforzata la produttività, che a sua volta traina la crescita. Quando tali condizioni vengono soddisfatte, di norma seguono periodi di crescita economica sostenuta.

Oggi 92 paesi si collocano nella fase del dividendo tardivo o post-demografico, vale a dire che i loro tassi di natalità sono inferiori al tasso di sostituzione e nella maggior parte dei casi l’aspettativa di vita si sta prolungando. Complessivamente nel 2022 questi paesi rappresentavano il 43% della popolazione mondiale, il 73% del PIL e, soprattutto, il 71% della crescita economica mondiale negli ultimi 20 anni. Vi sono una serie di implicazioni per la futura crescita economica mondiale.

Una possibile soluzione è direttamente legata al fatto che la maggior parte di queste popolazioni in via di invecchiamento gode già di benessere economico e buona salute. Il PIL medio pro capite dei paesi in fase di dividendo demografico tardivo è superiore a 12.000 dollari USA, mentre la media per i paesi in fase di dividendo post-demografico è più che quadrupla, ossia pari a 50.000 dollari USA. L’aspettativa di vita media per i paesi in fase di dividendo demografico tardivo è di 77 anni, mentre l’equivalente per i paesi in fase di dividendo post-demografico è di 80 anni. Quindi, i paesi più anziani, più facoltosi (e più sani) hanno la possibilità di far leva sulla crescente longevità.

Tra gli effetti positivi della longevità si possono considerare crescita economica, efficienza derivante dall’impiego costante dell’esperienza acquisita e la conoscenza accumulata di una forza lavoro più matura, il possibile aumento della produttività generato da una gestione corretta della tecnologia, e il potenziale di un rinvio della spesa per il piano pensionistico.

Le implicazioni negative includono l’urgenza di investire in un adeguamento tecnologico dell’ambiente lavorativo, nell’ampliamento di cure e canali per le prestazioni e i servizi sanitari, e l’inevitabile aumento dei costi sociali. Tutte le strade comportano un maggiore investimento di capitale, per cui l’emissione di credito rappresenta una crescente necessità e qualsiasi restrizione all’accesso a finanziamenti avrà un ruolo determinante, insieme all’esigenza di sviluppare quadri legali e normativi adeguati per agevolare l’introduzione di tecnologie e pratiche innovative.

La digitalizzazione è un prerequisito, così come standard più elevati di istruzione. Con gli obiettivi di una vita lavorativa più lunga, ricade sui governi la necessità di incentivare l’apprendimento costante, considerando che con la disponibilità della tecnologia moderna i lavoratori dovranno sviluppare nuove abilità.

*investment strategist Franklin Templeton Institute

 

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Articolo tratto dal numero di ottobre di ADVISOR,  
disponibile in edicola oppure qui in abbonamento cartaceo o digitale

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