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12/31/2024 | Max Malandra
L’azionario emergente è un’area dell’equity che suscita diatribe tra gli analisti. Lo scenario appare infatti positivo, ma le incertezze secondo alcuni dipendono da Cina e dalla nuova Amministrazione Trump.
“Le ragioni della sottoperformance delle Borse dei mercati emergenti, che hanno perso circa il 14% negli ultimi tre anni, vanno ricercate, per assurdo, nella sovraperformance dei paesi sviluppati - mette in chiaro Giovanni Buffa, Portfolio Manager di AcomeA SGR - il settore che ha performato particolarmente bene è stato quello tecnologico. Se si dovesse escludere questa componente, la differenza di performance tra paesi emergenti e sviluppati ci sarebbe, ma non sarebbe così evidente soprattutto se dall’analisi si escludesse la Cina. Se guardiamo infatti i singoli casi, la Borsa indiana ha guadagnato negli ultimi tre anni quasi il 50% in euro. L'indice invece della Borsa cinese domestico, il CSI 300, ha perso nello stesso lasso di tempo circa il 20%”.
"L'allentamento delle politiche monetarie della Fed e l'indebolimento del dollaro potrebbero favorire gli asset dei mercati emergenti - commenta Paul Jackson, Global Head of Asset Allocation Research di Invesco - Le valutazioni dei mercati emergenti sono relativamente interessanti e prevediamo rendimenti superiori alla media nella maggior parte delle categorie di attivi".
“Vogliamo evitare di addentrarci in ampie previsioni di mercato, ma possiamo fare comunque alcune ipotesi - intervengono Jason Pidcock e Sam Konrad, gestori Asian Equity Income di Jupiter AM - Ad esempio, è probabile che le tensioni geopolitiche restino elevate e potrebbero deteriorarsi ulteriormente. Tuttavia, guardiamo con favore al settore tech perché resta in un movimento strutturale al rialzo grazie all’IA. Non sappiamo per certo quello che accadrà all’economia americana nel 2025. Dovremo osservare se i dazi più elevati saranno applicati sui beni importati dagli Stati Uniti provenienti da tutta l’Asia oppure solo dalla Cina.
In generale, siamo ragionevolmente positivi sull’area dell’Asia Pacifico e ci aspetteremmo di vedere un certo livello di crescita degli utili e dei dividendi nel 2025. Probabilmente le economie di Australia, India e Singapore continueranno a crescere e a sovraperformare le altre dell’area. Come osservato in precedenza, crediamo molto nel settore tecnologico e nelle aziende tech di cui deteniamo partecipazioni, quotate principalmente a Taiwan. Paragonate a molti titoli tecnologici americani a grande capitalizzazione, riteniamo che queste aziende scambino a valutazioni interessanti non solo su base assoluta ma anche su base relativa”.
“Recentemente si sono osservati segnali incoraggianti che potrebbero indicare l’avvio di una fase più positiva per gli Emergenti - commenta Jean-Marie Mercadal, CEO di Syncicap AM (partecipata di Ofi Invest) - Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il numero di economie emergenti il cui Pil pro-capite crescerà più rapidamente rispetto a quello degli Stati Uniti passeranno dall’essere il 48% all’88% nei prossimi cinque anni. Inoltre, stavolta il ciclo di rialzo non sarà guidato solamente dalla Cina. Infatti, sono le nazioni più densamente popolate come l’India, l’Indonesia e il Vietnam che stanno registrando la crescita del Pil pro-capite più sostenuta e ciò le rende particolarmente attrattive per l’espansione delle imprese.
Poi le valutazioni: il rapporto P/E degli indici sui mercati emergenti è attorno a 15, ma se si esclude la Cina, si può osservare come le azioni di questi paesi abbiano un P/E ratio di 12,3 e che potrebbero crescere del 22% nell’arco del 2025. Infine, occorre ricordare che le economie emergenti sono al centro del movimento per la decarbonizzazione. L’esportazione di commodity come rame e litio e di tecnologie green hanno spesso origine da questi mercati, il che li potrebbe vedere accrescere i loro bilanci e le loro finanze pubbliche. Allo stesso modo, anche il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale sta stimolando l’esportazione di chip e altro materiale elettronico dalla Corea, da Taiwan, dalla Malesia, dalle Filippine e da altre nazioni”.
La Cina è il grande punto interrogativo per il 2025. Secondo Paras Anand, CIO di Artemis, “La Cina è stato il paese più lento ad uscire dalla crisi indotta dal Covid. Fino a poco tempo fa, era opinione comune che non ci si potesse investire ma ora le cose stanno cambiando. Le attività di stimolo hanno spinto gli investitori a riesaminare la situazione locale. Molto è stato scritto sulla crisi immobiliare in Cina, attribuita forse erroneamente al governo. Sono dell’avviso che la Cina stia cercando di adottare un modello di crescita incrementale sullo stile di quello di Singapore, in luogo di quello caratterizzato da un susseguirsi di crescite esplosive e profonde crisi.
La bolla immobiliare doveva scoppiare ed è meglio che sia successo ora. Le minacce di Trump sui dazi possono rendere meno entusiastiche le prospettive di crescita della Cina. Gli USA però sono destinatari di appena il 14,4% delle esportazioni cinesi, rispetto al 19% nel 2017 e la Cina è oggi molto più autosufficiente. I grossi cambiamenti strutturali che si stanno attuando nel Paese dovrebbero tradursi in una crescita costante, vigorosa e sostenibile, che a sua volta alimenta la fiducia dei consumatori”.
Opposto l’atteggiamento di Pidcock e Konrad: “Continueremo a evitare investimenti in Cina perché riteniamo che il sistema politico, i rischi geopolitici e lo stato dell’economia non rendano allettante il mercato. Pensiamo che le tensioni geopolitiche tra la Cina e gli Stati Uniti, l’Europa e alcuni Paesi asiatici possano peggiorare. Investire in aziende di qualità, in crescita e che producono reddito nella regione dell’Asia Pacifico, in imprese che possano fornire una crescita dei fatturati di pari passo a dividendi alti e sostenibili o in crescita, è il modo migliore per ottenere rendimenti totali interessanti nel lungo termine. Anche questo non è qualcosa che cambierà con il nuovo anno”.
Con la terminologia di “economie emergenti” sono inclusi mercati sparsi in tutte le aree del mondo, ma l’eccellente capacità industriale e il fatto che ospita circa il 60% della popolazione mondiale indicano l’Asia come la maggiore creatrice di valore.
“È vero che la Cina sta affrontando un periodo di notevole rallentamento della crescita, ma è vero anche che tra la metà di settembre e la metà di ottobre, le azioni cresciute del 30% grazie a una serie di misure di sostegno emanate dalle autorità di Pechino - aggiunge Mercadal - Più in generale, il Dragone asiatico oggi è la seconda economia del mondo e può contare su una grande ricchezza di industrie che offrono beni e servizi dalla qualità elevata a un mercato interno gigantesco, fatto di 1,4 miliardi di persone; un grande vantaggio in un mondo che si sta sempre più polarizzando in blocchi contrapposti”.
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