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8/29/2022 | Daniele Riosa
“A seguito del tour in Asia della speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d'America, Nancy Pelosi, la Cina ha introdotto sanzioni sul commercio con Taiwan. Di per sé, le sanzioni non hanno un grande impatto economico. Tuttavia, potrebbero segnalare un'accelerazione delle tensioni tra Stati Uniti e Cina”. David Rees, senior emerging markets economist di Schroders, spiega che “i mercati cinesi hanno tendenzialmente sottoperformato durante le passate fasi di tensioni commerciali con gli Stati Uniti, mentre le mosse per limitare l'accesso della Cina ai semiconduttori potrebbero soffocare la sua economia. Sul lungo termine, catene di approvvigionamento meno efficienti saranno probabilmente negative per l'economia globale, ma alcuni mercati emergenti ne beneficeranno se riusciranno ad accaparrarsi una quota del mercato manifatturiero. Quelli che ci riusciranno potranno godere di un miglioramento strutturale delle loro economie che, in ultima analisi, sosterrà una migliore performance degli asset locali”.
Il gestore si sofferma sulle conseguenze globali delle tensioni locali: “Dopo tutto, la Cina è di gran lunga il più importante partner commerciale di Taiwan: è la destinazione di oltre un quarto di tutte le esportazioni e il valore aggiunto dei consumi finali cinesi vale circa il 10% del suo PIL. In alcuni settori, inoltre, la Cina dipende molto dalle importazioni da Taiwan; in particolare, è la fonte di circa un terzo delle sue importazioni totali di semiconduttori. Data l'importanza della Cina per le catene di approvvigionamento globali, c'è il rischio che le tensioni commerciali locali possano avere conseguenze a livello globale, portando a nuove carenze di manufatti. La scomoda simbiosi tra Cina e Taiwan probabilmente fa sì che nessuna delle due parti incappi in un'escalation di tensioni commerciali tali da provocare effetti simili, ma la decisione potrebbe non dipendere da loro".
“Di recente - ricorda l’analista - il presidente degli Stati Uniti ha firmato la legge Chips Act, che mira a sovvenzionare lo sviluppo della produzione di semiconduttori onshore e a impedire alle aziende che beneficiano dell'accordo di investire nella produzione di alta tecnologia in Cina. Secondo alcune segnalazioni, l'amministrazione Biden sta anche pianificando un divieto di esportazione verso la Cina di semiconduttori di fascia alta e di attrezzature di produzione che utilizzano la tecnologia statunitense, per soffocare il suo tentativo di diventare autosufficiente. Ostacoli alla performance dei mercati asiatici”.
Nel breve termine, “l'acuirsi delle tensioni commerciali rappresenta un vento contrario per la performance dei mercati finanziari della regione. Ad esempio, mentre i dazi statunitensi sono stati ampiamente inefficaci nel raggiungere i loro obiettivi economici, le azioni e la valuta della Cina hanno registrato una performance negativa durante la guerra commerciale di qualche anno fa”.
Sul lungo termine, “l'ultima disputa tra Stati Uniti e Cina servirà probabilmente ad accelerare il disaccoppiamento delle due superpotenze. Oltre alle misure statunitensi sui semiconduttori, di recente cinque SOE (imprese statali) cinesi hanno annunciato che si sarebbero delistate dalla Borsa di New York. Nel frattempo, Pechino ha temporaneamente sospeso la cooperazione con Washington su questioni come il cambiamento climatico ed è probabile che le aziende riconsiderino la localizzazione delle loro catene di approvvigionamento. Un'inversione dell'attuale integrazione potrebbe rendere meno efficienti le catene di approvvigionamento globali, pesando sulla crescita a lungo termine e aumentando le pressioni sui prezzi”.
“Tuttavia - prevede il manager - altri mercati emergenti potrebbero beneficiare del disaccoppiamento di Stati Uniti e Cina se saranno in grado di accaparrarsi una quota della produzione manifatturiera globale. Dopo tutto, i Paesi emergenti che passano a modelli di crescita basati sulle esportazioni di prodotti manifatturieri godranno probabilmente di una spinta sul fronte di investimenti e crescita della produttività”.
“In ultima analisi - conclude Rees - ciò darebbe luogo a miglioramenti strutturali delle loro posizioni esterne e delle dinamiche dell'inflazione. A loro volta, le banche centrali sarebbero in grado di sostenere tassi di interesse più bassi e, infine, di sostenere rendimenti meno volatili dagli asset locali. Il Vietnam è già riuscito a conquistare quote di mercato in alcuni settori, ma è probabile che le aziende prendano in considerazione anche quei Paesi emergenti con ampi mercati interni e un'abbondante offerta di manodopera relativamente a basso costo. L'India e l'Indonesia sono due di questi Paesi e il recente impulso alle riforme potrebbe rafforzare la loro posizione”.
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