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10/12/2020 | Daniele Riosa
Il Fondo Monetario ha pubblicato il Chapter 2 del suo fiscal outlook. Pasquale Diana, senior macro economist di AcomeA SGR, coglie al suo interno spunti per “riflessioni importanti sugli investimenti pubblici, con potenziali ripercussioni sulle politiche verso i mercati emergenti”.
Che cosa dice il Fondo? “Lungi dal predicare il ritorno all’austerità fiscale, il Fondo Monetario chiede espressamente ai governi dei Paesi avanzati di aumentare gli investimenti pubblici, avvalendosi dei tassi bassi e approfittando del momento per preparare la transizione alla digital/green economy. Per quelli che ricordano l’enfasi che il Fondo metteva sul consolidamento del debito, è un cambio di linea epocale. Chiaramente è avvenuto in maniera graduale negli anni, ma oggi ha raggiunto nuove vette. Ecco perché”.
Qual è l’analisi dietro questa tesi? “Il Fondo – spiega l’analista - sostiene che in situazioni di incertezza come quella attuale i ‘fiscal multipliers’ degli investimenti pubblici sono molto più alti del normale. Questo perché un intervento dello Stato nell’economia, in un periodo di forte incertezza e con ampie risorse inutilizzate, può essere particolarmente incisivo. Un 1% di GDP di investimenti pubblici può creare fino a 2.7% punti di crescita del PIL in periodi di forte incertezza. E, In termini di posti di lavoro creati, gli investimenti pubblici possono creare tra 2 e 8 posti di lavoro per ogni milione di USD spesi in infrastrutture, con un impatto particolarmente marcato nei settori della ricerca e della green economy. Da notare che, in generale, i posti di lavoro creati negli emergenti sono maggiori, dati i salari più bassi e un uno dei fattori produttivi maggiormente focalizzato sul lavoro rispetto al capitale in EM”.
Che cosa vuol dire tutto questo per gli emergenti? “Alcune considerazioni personali. Il Fondo è chiarissimo nel sostenere che gli investimenti pubblici non sono una panacea. Negli emergenti possono portare ad aumenti dei tassi di interesse, preoccupazione sulla tenuta del debito e uso poco efficiente delle risorse. C’è inoltre il rischio (comune a tutti i paesi) di creare posti di lavoro di ‘bassa qualità’. Ciò detto, è palese a mio avviso che i Paesi ricchi hanno avuto un accesso alla leva fiscale (tramite l’ausilio del QE delle banche centrali) che gli emergenti non hanno avuto. Questo è parte dell’extraordinary privilege di cui godono i Paesi che emettono reserve currencies (US, Euro Area, Giappone, UK). Gli emergenti possono beneficiare di questo stimolo in maniera indiretta, certo. Ma non hanno lo stesso spazio”.
“Questo – precisa il manager - non cambia dall’oggi al domani. Ma non è pensabile che il Fondo Monetario sostenga così apertamente la linea della spesa pubblica per investimenti nei Paesi che se lo possono permettere e adotti la linea del rigore verso gli emergenti. Non solo non sarebbe giusto, ma sarebbe anche una linea impresentabile. Mi sembra quindi più che ragionevole non solo che l’IMF continui a perorare la causa della debt suspension per i paesi più poveri, ma soprattutto che adotti criteri estremamente flessibili al momento di negoziare nuovi programmi”.
“L’optimum sarebbe un’emissione di SDR (Special Drawing Rights) nuove, che un’elezione di Biden alla Casa Bianca renderebbe più plausibile visto che cadrebbe il veto US. Ma ci sarà da aspettare. Per adesso il Fondo continua la sua lenta, inesorabile trasformazione verso una linea più soft e meno incentrata al consolidamento rapido del debito a tutti i costi”, conclude.
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