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La Russia fa un primo passo verso l'ambiente

11/28/2019

In occasione dell'apertura del vertice dell'ONU sull'azione per il clima, il paese ha formalmente ratificato l'accordo di Parigi. L'analisi di East Capital spiega i progressi, ancora esigui, del secondo produttore mondiale di petrolio e gas


Il 23 settembre in occasione dell'apertura del vertice dell'ONU sull'azione per il clima, la Russia ha formalmente ratificato l'accordo di Parigi. Un piccolo passo certo ma significativo. 

David Nicholls, senior analyst di East Capital spiega inoltre che questo progresso è stato portato avanti dal basso verso l'alto, ovvero più dalle aziende che dal governo. 

 

"La Russia, il secondo produttore mondiale di petrolio e gas, ha emesso 1,8 miliardi di tonnellate di CO2 fossile nel 2018, pari al 4,6% delle emissioni mondiali, preceduta soltanto da Cina, Stati Uniti e India a livello globale. Le emissioni pro-capite superano del 79% il dato UE e del 53% quello cinese, mentre sono inferiori del 25% rispetto agli Stati Uniti1. I funzionari russi citano spesso il calo del 32% delle emissioni totali di gas serra dal picco del 19902, tuttavia questo è in gran parte dovuto al declino economico del paese a seguito del crollo dell'Unione Sovietica piuttosto che a uno sforzo sincronizzato all'interno del paese" commenta l'esperto.

 

Molti fattori stanno contribuendo alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul tema. L’intensificarsi delle condizioni meteorologiche estreme, le siccità che prosciugano i fiumi, gli incendi in Siberia, la preoccupazione per lo scioglimento del permafrost e anche la controversa questione della gestione dei rifiuti. Ben presto dunque sono arrivate pressioni da parte di grandi partner commerciali (per lo più europei) e i legislatori hanno iniziato a discutere della questione. "L'atto legislativo chiave è la legge federale sulle emissioni, attualmente in fase di stesura. Il documento introdurrebbe l'obbligatorietà della reportistica sulle emissioni di CO2, con valutazioni indipendenti per i grandi emettitori, e l'introduzione di quote di carbonio e obiettivi entro cinque anni, con scambio di quote e sanzioni in caso di superamento dei limiti obiettivo. L'accordo sarebbe sostenuto da un "piano nazionale per il cambiamento climatico" che fisserebbe obiettivi legali per la riduzione delle emissioni di CO2" prosegue Nicholls.

 

Come stanno reagendo le compagnie energetiche russe? Secondo l'esperto di East Capital queste si trovano ancora indietro. "Il nostro obiettivo, quindi, è quello di mettere in mostra quelle che consideriamo le migliori pratiche in termini di governance e di disclosure, e ricordare costantemente al management quanto siano importanti questi temi. Questo lavoro ha portato ad alcune interessanti scoperte. La maggior parte degli investitori, ad esempio, non si aspetterebbe che uno dei KPI (indicatori chiave di prestazione) del management di Gazprom sia legato alla riduzione delle emissioni e che questo va a incidere sulla loro remunerazione, cosa molto rara nel settore energetico a livello globale. Troviamo sia anche incoraggiante il fatto che si possa fare molto anche con interventi relativamente semplici. A titolo di esempio, il Ministero dell'Ecologia russo ha stimato nel 2016 che il 27% delle emissioni totali di gas serra (incluso il metano) era imputabile alle perdite e all’evaporazione di petrolio e gas" racconta il gestore.

 

In conclusione comunque secondo Nicholls "la Russia ha ancora un lungo percorso da affrontare per combattere il cambiamento climatico, tuttavia il fatto che molte società del settore delle materie prime siano tra i più grandi responsabili di emissioni di gas serra al mondo, l’impatto marginale di qualunque riduzione delle emissioni sarebbe significativo, soprattutto se consideriamo quanto sia possa ottenere anche con interventi relativamente semplici nel settore dell’energia".

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