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Argentina: ora il mercato guarda ai colloqui col FMI

10/28/2019 | Daniele Riosa

I gestori commentano le Presidenziali, che hanno visto la vittoria del peronista Fernandez e prefigurano le possibili ripercussioni in ambito economico-finanziario


Nessuna sorpresa in Argentina. Il peronista Alberto Fernandez ha vinto le elezioni presidenziali battendo di diverse lunghezze il capo di Stato uscente, il liberale Mauricio Macri. Fernandez giurerà il 10 dicembre e dovrà immediatamente affrontare la grave crisi economica che attanaglia il Paese, basti pensare all'indice di povertà che è al 35,6%.

Uday Patnaik, head of emerging market debt di LGIM, spiega che “le aspettative erano per una vittoria di Fernandez al primo turno, e così è stata. Fernandez ha ottenuto il 48% dei voti mentre Macri ha avuto circa il 40,5%. Se c'è stata una sorpresa, è stato che Macri è andato meglio del previsto. Il divario si è ridotto al 7,5%, un miglioramento significativo per lui rispetto alle precedenti PASO (le primarie simultanee obbligatorie). Il discorso iniziale di Fernandez è stato percepito come moderato. Inoltre, è previsto in queste ore un incontro tra Macri e Fernandez per iniziare la transizione, il che è chiaramente positivo”.

La capitale di Buenos Aires è andata “a Laretta, dato positivo in quanto rappresenta una sorta di compensazione verso Kicillof, il nuovo governatore della provincia di Buenos Aires (e il Junto por el Cambio è riuscito anche a vincere in diverse altre province tra cui Cordoba, Santa Fe e Mendoza). L'Argentina ha anche rafforzato i controlli sui capitali domenica 27 ottobre dopo che Fernandez ha vinto le elezioni. Duecento dollari al mese è il massimo consentito per l'acquisto tramite conti bancari rispetto ai 10mila al mese in precedenza.

“Ancora una volta – conclude Patnaik - questo non dovrebbe essere visto come una sorpresa dopo le elezioni. Il mercato si concentrerà immediatamente sugli appuntamenti del gabinetto di Fernandez e sulla direzione dei colloqui con il FMI”.

Edwin Gutierrez, responsabile emerging market sovereign debt di Aberdeen Standard Investments, sottolinea che “anche se un divario del 17% rappresentava un obiettivo troppo ambizioso per Macrì, la sua instancabile campagna elettorale delle ultime due settimane è riuscita comunque a mantenere Cambiemos una forza rilevante. Infatti, se da un lato Fernandez sarà in grado di ottenere un sufficiente sostegno in entrambe le Camere per avere una maggioranza semplice, Cambiemos manterrà un potere di veto per tutto ciò che comporta cambiamenti costituzionali. A nostro avviso, le dichiarazioni più in evidenza sono quelle del governatore della provincia di Buenos Aires, Axel Kiciloff, e di Cristina Kirchner che hanno adottato la linea dura, mentre Alberto Fernandez è stato più conciliante, anche se ha menzionato i tempi duri che si prospettano per l'Argentina”.

“Questo – rileva l’esperto - sottolinea la tensione che persisterà durante l’amministrazione di Fernandez tra gli estremisti e le forze più moderate all'interno del Partito Peronista. Preparare la popolazione per i tempi duri che attendono potrebbe inoltre suggerire che il suo approccio alla politica non sarà la mossa populista puramente pro-crescita che ha suggerito durante la campagna elettorale".

Verena Wachnitz, gestore del fondo T. Rowe Price Latin America, spiega che con questo risultato elettorale “un altro rischio che sembra essere diminuito è quello di una transizione disordinata. La Banca Centrale Argentina (BCRA - Banco Central de la República Argentina) ha già imposto controlli più stingenti sul capitale, e gli sforzi volti a implementare tali misure prima dell’effettivo cambiamento al Governo il 10 dicembre, inizieranno oggi”.

“Nonostante ciò – specifica l’epserto - si tratta di un risultato elettorale negativo per le politiche di breve termine. Il conflitto interno tra Kirchner e Fernandez potrebbe limitare i tentativi di perseguire un percorso economico più ortodosso e probabilmente assisteremo a un mix di politiche come il controllo sui capitali, un aggiustamento fiscale limitato, tasse sull’export più elevate, monetizzazione, controlli sul rapporto tra prezzi e salari e default o rinegoziazione del debito”.

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