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Alto rendimento, i vantaggi della gestione attiva in numeri

10/10/2019 | Daniele Riosa

Leemans (DPAM): “Se si fosse scelto un fondo ad alto rendimento all'inizio del 2014, sarebbe stato meglio averne uno a gestione attiva nell'81,3% dei casi”


“Negli ultimi anni, l’universo azionario passivo è riuscito a convogliare un'ondata di investitori verso fondi passivi a basso costo in grado di replicare il loro indice. Di conseguenza, le loro controparti caratterizzate da una gestione attiva hanno dovuto affrontare un’erosione delle quote di mercato”. Fatta questa premessa Marc Leemans, fund manager high yield strategies di DPAM, rileva che “il dibattito attivo-passivo si è ora spostato nello spazio obbligazionario, in particolare per quanto riguarda l’alto rendimento”.

“I responsabili dell’allocazione – sottolinea l’analista - si sono rivolti alla gestione passiva per ottenere un'esposizione obbligazionaria. In effetti, la classe di attivi ad alto rendimento ha registrato afflussi significativi su base annua, poiché gli investitori (compresi gli investitori obbligazionari) stanno ricalibrando la propria propensione al rischio sotto l'impulso delle politiche accomodanti della Banca Centrale. Questi flussi sono stati in buona parte convogliati verso gli ETF”.

Gli investitori, tuttavia, “non dovrebbero pensare che le regole in termini di replica dell’indice di riferimento che si applicano agli investimenti passivi azionari siano applicabili anche a quelli obbligazionari. Abbiamo confrontato un campione di 15 fondi europei ad alto rendimento largamente diffusi con i tre più grandi ETF europei ad alto rendimento, su un orizzonte temporale pari agli ultimi sei anni. Dalla comparazione risulta che almeno la metà dei fondi gestiti attivamente ha sovraperformato gli omologhi ETF”.

Ovviamente, “in termini di simulazione, ciò avrebbe richiesto che l’investitore scegliesse all’inizio di ogni anno i 7 fondi migliori. Tuttavia, se si considerano le performance cumulate in periodi diversi dalla fine del 2013, almeno il 70% dei fondi gestiti attivamente supera gli ETF. In altre parole, se si fosse scelto un fondo ad alto rendimento all'inizio del 2014, sarebbe stato meglio avere un fondo a gestione attiva nell'81,3% dei casi”.

“E le differenze di rendimento in quel periodo – precisa l’economista - sarebbero state significative: da 2 punti percentuali a 20 o più punti percentuali se si fosse stati abbastanza fortunati o lungimiranti da scegliere il fondo più performante alla fine del 2013. Questo può essere spiegato in primo luogo dal fatto che l'indice sottostante degli ETF è un indice che prende in considerazione solo la parte più liquida del mercato ad alto rendimento. In altre parole, l'ETF cerca di riprodurre solo la parte più liquida del mercato. Quest’ultima è però spesso anche quella più costosa (e potenzialmente affollata)”.

Per questo “gli investitori devono essere ben consapevoli del fatto che l'acquisto di un ETF ad alto rendimento non dà la stessa esposizione di un fondo a gestione attiva e che i rendimenti nel lungo periodo possono differire significativamente. Inoltre, gli ETF tendono a sottoperformare il loro indice, in media di 60 punti base all'anno. Ciò può essere attribuito al fatto che gli ETF addebitano anche commissioni significative ai loro investitori. Inoltre, un ETF gestirà probabilmente gli afflussi e i deflussi senza ritardi, incorrendo in differenziali tra domanda e offerta (spread bid-ask) che possono diventare un importante freno alla performance”.  

“Un gestore attivo può invece attendere tatticamente prima di investire se il mercato è costoso e può anche beneficiare dei premi di nuova emissione sul mercato primario”, conclude Leemans.

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