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Grecia, permanenza nell'Area Euro verso la fine

7/12/2011 | Marco Gementi

Secondo le conclusioni di John Greenwood, chief economist di Invesco, la Grecia sarà costretta ad uscire dall’unione monetaria. È solo questione di capire quando e come, se in modo pilotato o disordinato


Secondo le conclusioni di John Greenwood, chief economist di Invesco, la Grecia sarà costretta ad uscire dall’unione monetaria. È solo questione di capire quando e come, se in modo pilotato o disordinato.

  Vediamo

Negli ultimi decenni, quando le economie dei mercati emergenti hanno dovuto affrontare una crisi finanziaria o di solvibilità, il piano di salvataggio tipicamente messo in atto ha sempre contemplato le seguenti quattro misure: una svalutazione della moneta e il passaggio a un regime di cambio flessibile, un prestito di fondi a breve o medio termine per fronteggiare gli oneri di rimborso imminenti, l’obbligo di intraprendere una ristrutturazione fiscale e privatizzazioni e altre riforme strutturali finalizzate a rendere l’economia più efficiente a lungo termine.

 

La Grecia e le altre economie periferiche si muovono nell’ambito della moneta unica insieme agli altri Paesi membri di Eurolandia e non possono uscire dall'unione monetaria. Non è chiaro come si possa realizzare il primo punto sopra citato, ovvero la svalutazione e conseguente ripresa di competitività.

Nel sistema Euro, si danno solo tre soluzioni: le prime due prevedono l’alterazione dei livelli di prezzo interni o esterni delle economie in crisi, mentre la terza richiede una trasformazione dell’economia stessa.

 

La prima possibilità potrebbe puntare ad un deprezzamento dell’Euro sufficiente a consentire una ripresa di competitività alla Grecia e alle altre economie periferiche. Ma questa opzione porterebbe la Germania ad essere “ultra-competitiva” e non è quindi praticabile.

 

La seconda possibilità prevede un lungo periodo di deflazione all’interno delle economie in crisi, con riduzione degli stipendi e dei livelli di prezzo fino a recuperare la competitività perduta. Ad esempio, dopo la crisi finanziaria asiatica del 1997-98, Hong Kong non ha scelto la strada della svalutazione, sostenendo invece sei anni di deflazione interna fino al 2004. Tuttavia, Hong Kong poteva contare su un tasso di crescita relativamente elevato e questa economia è nota per la sua flessibilità.
I sistemi politici e sociali della Grecia, invece, sono quasi certamente incapaci di sopportare un processo di riassestamento così lungo.

 

La terza possibilità sarebbe quella di un miracolo produttivo in Grecia e negli altri Paesi periferici che riesca a trasformarli rapidamente in economie competitive. Ma anche questa opzione è fuori portata e possiamo quindi scartarla.

 

Di fatto, lo stato Greco è insolvente. Con i tassi di interesse al livello attuale non può raccogliere fondi sui mercati privati dei capitali per soddisfare i suoi obblighi correnti. Per un altro anno o due, gli altri stati membri della zona Euro e il FMI potrebbero continuare ad erogare liquidità a breve termine, ma questi pacchetti di salvataggio incontreranno la crescente opposizione dei cittadini greci, che sono già sul piede di guerra, nonché dei
contribuenti in Germania, Francia e negli altri Paesi dell’Area Euro che devono sobbarcarsi gli oneri di altri aiuti finanziari. Inoltre, l’erogazione di liquidità non affronta i problemi di solvibilità che sottostanno alla crisi.
 

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