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5/18/2018
Il dollaro statunitense, la valuta rifugio per eccellenza durante le fasi di volatilità, da tempo si scambia attorno ai minimi degli ultimi anni. Michalis Ditsas, fixed income investment specialist e Fabrizio Quirighetti, co-head of multi-asset e gestore del fondo OYSTER Absolute Return presso SYZ Asset Management analizzano i motivi secondo cui la parabola discendente potrebbe proseguire anche nel secondo semestre del 2018, fino a toccare 1,30 contro l'euro entro fine anno.
Ecco dieci possibili cause analizzate dagli esperti.
Il ciclo di inasprimento della Federal Reserve è ormai ampiamente scontato dai mercati. Al contrario, il cammino verso la normalizzazione della politica monetaria da parte della Banca Centrale Europea (BCE), della Banca d’Inghilterra (BoE) e della Banca del Giappone (BoJ) è appena iniziato o deve ancora iniziare. Infatti, i programmi di QE della BoJ e della BCE non si sono ancora conclusi. Il ciclo espansionistico in Europa e Giappone si trova in una fase meno avanzata rispetto a quello degli Stati Uniti. In questo contesto e dato che l’eurozona e il Giappone presentano un avanzo delle partite correnti pari a circa il 3% del rispettivo PIL a fronte del "doppio deficit" americano (bilancia commerciale e budget federale), i fondamentali economici segnalano un rafforzamento dell’euro e, infine, dello yen rispetto al dollaro.
L’annuncio del presidente americano Donald Trump di nuovi dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio rappresenta un ulteriore catalizzatore di questa tendenza ribassista. Infatti, la decisione sembra implicitamente tesa a indebolire il dollaro e accelererà la dinamica di apprezzamento per euro e yen. Per quanto passi talvolta in secondo piano, il costo di copertura è un fattore importante. Poiché i costi di copertura contro il rischio di cambio del dollaro sono sensibilmente aumentati rispetto all’ultimo trimestre del 2017, è dispendioso per gli operatori europei e giapponesi investire in Treasury USA.
In ragione di rendimenti negativi sui propri mercati interni dei titoli di Stato, gli investitori europei e giapponesi, tra gli altri, erano spinti ad acquistare Treasury USA strumenti che, al contempo, consentivano loro di incrementare la diversificazione del portafoglio. Al momento, dato che il costo per le coperture EUR/USD e JPY/USD è in aumento, i flussi finanziari menzionati in precedenza e, pertanto, i vantaggi a livello di diversificazione risultano meno interessanti. Quando i Bund (e i JGB a un giorno) offriranno rendimenti positivi, l’interesse per i titoli di Stato americani continuerà a calare. Gli acquisti di obbligazioni della BCE e della BoJ hanno superato le emissioni nette, mentre al contrario gli acquisti di Treasury conclusi dalla Fed non hanno mai raggiunto tale livello. Questa situazione ha costretto gli investitori locali in titoli di Stato, ad esempio compagnie assicurative e fondi pensione, ad alzare l’esposizione nei titoli di Stato esteri, in sostanza i Treasury USA. Ne consegue che il ciclo di normalizzazione della BCE potrebbe esercitare pressioni al rialzo sui tassi europei, facendo apprezzare la moneta unica.
Le valutazioni dei mercati azionari europei e giapponesi sono meno elevate di quelle del mercato statunitense e il loro potenziale di crescita appare maggiore vista la fase meno avanzata del rispettivo ciclo economico. Questa dinamica sui mercati azionari e il relativo impatto sulla domanda degli investitori per i titoli denominati in dollari USA creano un ulteriore ostacolo.
Questo non è l’unico fattore associato alla politica ‘America First’ di Trump che si ripercuote sulla traiettoria del dollaro. Inoltre, la riforma fiscale americana prelude a un aumento dei deficit gemelli, che tende tradizionalmente a indebolire il biglietto verde. Supponendo che la crescita sincronizzata globale e la graduale normalizzazione delle politiche monetarie in Europa e Giappone proseguano, i flussi finanziari che negli ultimi anni hanno sostenuto il dollaro dovrebbero subire un’inversione di tendenza. I rendimenti negativi dei titoli di Stato decennali di Germania (Bund) e Giappone (JGB) hanno spinto gli investitori obbligazionari europei e nipponici in cerca di rendimenti verso i Treasury USA. Questa dinamica si sta tuttavia affievolendo.
Pechino sta ostacolando un deprezzamento del renminbi in quanto teme di essere accusata di manipolazione dei cambi. D’altro canto, gli acquisti di Treasury USA da parte della Banca Popolare Cinese sono però scesi rispetto ai consueti livelli.
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