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5/10/2018
Gli Stati Uniti si ritirano dall'accordo sul nucleare con l’Iran e reintroducono le sanzioni. L'annuncio di Trump ha fatto schizzare il prezzo del greggio: mercoledì 9 maggio il Brent è salito di un dollaro, attestandosi così sui 77 dollari al barile. Nelle ultime quattro settimane l'aumento è stato nell’ordine dei 10 dollari al barile. "In previsione dell’evento, la maggior parte degli operatori specializzati nel settore aveva già dato quasi per scontato il ritiro statunitense" spiega Ned Salter, head of research Europe di Fidelity International. Secondo Salter le sanzioni favoviranno le quotazioni petrolifere.
Ma ci sonio alcune considerazioni da fare. "Stando al documento diffuso dal Dipartimento di Stato americano, le sanzioni dovrebbero però essere graduali e non immediate come lascerebbero invece intendere le prime pagine dei giornali. Le altre parti in causa nell'accordo sul nucleare, ossia Regno Unito, Francia, Germania, Cina e Russia, non si sono ritirate e continuano ad appoggiare l'accordo in essere, pur lasciando intendere di essere disposte a concluderne uno “nuovo”, migliore del precedente" prosegue Salter.
Per l'esperto è inoltre improbabile che vi siano effetti immediati sulle esportazioni. Sul fronte dei mercati petroliferi globali, il consensus prevede un impatto sull’offerta nell’ordine dei 300.000-500.000 barili al giorno, corrispondente allo 0,3%-0,5% dell’offerta globale. "I calcoli sono presto fatti: dal ritiro delle sanzioni, la produzione iraniana è salita all’incirca di un milione di barili al giorno, con le esportazioni di greggio che ora si aggirano sui 2,2 milioni di barili al giorno e i dati di aprile sono notevolmente superiori" spiega.
Dove va il petrolio dell'Iran? Circa il 60% del volume di esportazioni è diretto in Asia, in particolare verso Cina, India, Corea del Sud e Giappone. Gli acquirenti europei ne comprano circa il 25% e potrebbero essere disposti ad interrompere gli acquisti per evitare le sanzioni statunitensi, anche se Regno Unito, Francia e Germania restano tra i firmatari dell'accordo. Rimangono quindi circa 500.000 barili al giorno che potrebbero essere riassorbiti in mercati non europei. L’Arabia Saudita, inoltre, ha dichiarato di essere disposta a mitigare l’effetto di questa riduzione dell’offerta dovuta alle nuove sanzioni.
Più cauto è Christopher Gannatti, head of research di WisdomTree Europe. “Considerando che i produttori statunitensi di shale sono avvantaggiati dall’aumento dei prezzi del petrolio, a nostro avviso non sarebbe prudente scommettere in misura eccessiva su nuovi movimenti al rialzo dei prezzi del greggio. Ciò detto, generare incertezza è nella natura stessa del rischio geopolitico. Non sappiamo dove il prossimo flusso di tweet porterà l’attenzione dei mercati”.
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