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1/25/2018 | Greta Bisello
Il decennale americano supera il massimo storico segnato a marzo 2017 e chiude la settimana a 2,66%. Non solo l'atteso rialzo dei tassi della Fed ma anche altri fattori alimentano il rialzo: le sorprese positive legate all’inflazione sottostante, la solidità dei dati economici, la riaffermata volontà da parte di Donald Trump di lanciare un programma di investimenti infrastrutturali pari a 1.000 miliardi $, o ancora un mercato del lavoro che fa molto bene e aumenti dei salari minimi che genereranno un incremento del costo del lavoro.
Secondo Olivier De Berranger, chief investment officer di La Financière de l’Echiquier, molti dati indicherebbero un rialzo dei tassi e sono chiaramente plausibili pressioni inflazionistiche superiori alle attese.
La rapidità con la quale avverrà il movimento al rialzo ne determinerà la bontà: se le aziende americane possono assorbire un aumento il cui ritmo è costante, un’accelerazione repentina genererebbe conseguenze negative visto il livello di indebitamento di alcune imprese. La Fed sarà determinante in questa scelta. E sul fronte europeo ci si chiede se avverrà un contagio: da monitorare è lo spread tra il tasso tedesco a 2 anni e quello americano da 10 anni. Attestandosi al 3,2% ritorna ai livelli raggiunti a febbraio/marzo 2017, che non erano stati toccati dal 1996/1997.
Se si va indietro con la memoria, questo dato ai massimi coincide storicamente con un'inversione di tendenza. È possibile quindi prevedere una risalita dei tassi nell’Eurozona, almeno sulla parte a breve della curva, e probabilmente - in modo analogo a quanto osservato negli Stati Uniti – un suo appiattimento.
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