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1/17/2018 | Greta Bisello
Nell'attesa dell'avvio di una normalizzazione da parte della Fed e di una politica monetaria più restrittiva, ci si interroga su come reagiranno i mercati emergenti a questo nuovo scenario.
Nuovo sì, ma non del tutto, se si torna con la mente al 2013, anno del Taper Tantrum (la risposta del mercato al primo accenno di politica meno accomodante da parte della banca centrale americana) quando molti investitori abbandonaro in blocco gli emergenti.
Dalla parte di questa asset class c'è anche il contesto macroeconomico che attuale ricorda molto il biennio subito prima della crisi 2004-2006 quando gli emergenti avevano subito una forte crescita.
Il quadro che si delinea attraverso questi elementi è, secondo OMGI, incoraggiante per gli emergenti, tanto che il rally vissuto lo scorso anno, potrebbe proseguire.
La politica di Trump è un altro aspetto da tenere in considerazione. Gli scandali e le lungaggini per l'approvazioni di leggi ed emendamenti dimostrano la debolezza del governo e le paure nate subito dopo l'elezione del taycoon sembrano quantomeno ridimensionate.
Anche le commodity remano in favore di questa asset class. I prezzi continuano a essere ben lontani dai minimi storici cui erano sprofondati, dando sostegno ai Paesi esportatori di risorse naturali come petrolio e metalli comuni. Il dollaro statunitense ha ritracciato, dando sollievo al peso del debito sui creditori negli mergenti.
Tra i bond denominati in valuta locale, in questi mercati includiamo alcuni Paesi dell’America Latina, come il Brasile; nei mercati con valuta forte, favoriamo una serie di nazioni africane, alcune delle quali sotto il programma dell’FMI.
Nessuna previsione di una crisi all'orizzonte nel breve periodo, ma l'attenzione rimane alta.
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