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10/19/2017 | Lucy O’Carroll*
Il 19 ottobre 1987 un crash iniziato ad Hong Kong si propagò ai mercati europei e poi agli Stati Uniti d'America. La borsa di Hong Kong perse l’11% ed il mercato restò chiuso per il resto della settimana per calmare i nervi degli investitori. Ma non funzionò: quando riaprì, il lunedì successivo, le azioni scesero ancora del 33%. Nel Regno Unito, l’indice FTSE 100 perse quasi l’11% il 19 ottobre e un ulteriore 12% il giorno seguente mentre altri mercati azionari europei subirono altre contrazioni significative. Negli USA, il crollo del 23% del Dow Jones Industrial Average fu la correzione al ribasso più importante in una sola seduta. Fu il doppio della portata di qualsiasi crollo giornaliero durante la crisi del 1929 e superò di molto i cali visti poi durante la crisi finanziaria globale del 2008.
Il Black Monday (lunedì nero) fu anche la prima crisi finanziaria contemporanea, che investì con il panico le borse in tutto il mondo. Rese ovvio quanto i mercati globali si stessero intrecciando tra loro, in un momento in cui la globalizzazione era un concetto molto meno familiare di oggi. Il crollo del 1987 fu anche il primo a includere l’uso esteso dei derivati, a riguardare fondi pensione e grandi investitori istituzionali, che all’epoca erano relativamente neofiti sul mercato azionario, ed il primo ad essere amplificato dalla crescente dipendenza dai computer. Poco stupisce che gli eventi del Black Monday fecero emergere paure di una replica del crash borsistico del 1929 e della depressione economica che seguì. Ma entrambe le paure si rivelarono infondate. I mercati azionari riguadagnarono velocemente la loro compostezza. Nelle due giornate di scambio successive, i mercati Usa riconquistarono più della metà delle perdite del Black Monday.
Nel Regno Unito, l’indice FTSE 100 chiuse l’anno ancora meglio di come l’avesse cominciato. Per quanto riguarda l’economia mondiale, nel 1987 si espanse di un rispettabile 3,5% e del 4,2% l’anno successivo. Gli Stati Uniti crebbero ad un ritmo analogo, evitando con cura la recessione fino alla fine del boom dotcom all’inizio degli anni ’90. Anche dopo 30 anni, le cause precise del Black Monday sono controverse. Fattori come la globalizzazione, la computerizzazione e la crescente complessità degli strumenti finanziari ebbero un ruolo. Poi c’erano falle strutturali nei mercati. I circuit breaker, ad esempio, che permettono di arrestare temporaneamente gli scambi in presenza di grandi volumi di vendite e di importanti cali del mercato, furono introdotti solo dopo l’esperienza del Black Monday. Ci si misero anche fattori particolari.
Nel Regno Unito, ad esempio, una terribile tempesta il venerdì precedente impedì a molti trader di recarsi al lavoro. Dopo aver passato il fine settimana a preoccuparsi delle loro posizioni aperte dopo i cali di Wall Street, alla riapertura delle contrattazioni il 19 ottobre erano tutti troppo desiderosi di vendere. Se si può discutere dei fattori dietro al crollo dei mercati globali, la causa scatenante della ripresa che seguì sembra invece chiara. Il 20 ottobre il presidente della Federal Reserve americana, Alan Greenspan, dichiarò che la banca centrale sarebbe stata “pronta ad intervenire per fornire liquidità a sostegno del sistema economico e finanziario”. Dietro le quinte, la Fed incoraggiò anche le banche a continuare a prestare denaro sui livelli precedenti il crollo, impedendo una stretta di liquidità ed aiutando a sostenere l’economia e la fiducia degli investitori. La risposta della Fed al Black Monday istituì quindi un precedente per l’uso della liquidità per fermare le crisi finanziarie nel corso dei decenni seguenti.
Quindi che lezione possiamo imparare? Sappiamo che i mercati possono essere vulnerabili a forti correzioni quando, come adesso, le valutazioni appaiono tirate. Il Black Monday ci ha insegnato che queste correzioni possono verificarsi senza una chiara “causa scatenante”. Inoltre, gli eventi di 30 anni fa indicano che i mercati possono essere particolarmente vulnerabili quando, come ora, c’è una transizione al vertice. Prima del Black Monday gli investitori erano incerti circa le preferenze di politica monetaria del presidente della Fed. Dopo, hanno dato per scontato che la Fed e Greenspan sarebbero praticamente sempre venuti in loro soccorso. Infine, il Black Monday ha dimostrato che l’intervento monetario può riuscire ad impedire che un crollo del mercato azionario diventi un crollo economico. Nella misura in cui le azioni della Fed hanno alimentato la compiacenza e il disinteresse nella valutazione del rischio, il successo nel limitare l’effetto del Black Monday è stato a prezzo della crisi finanziaria del 2008.
*capo economista di Aberdeen Standard Investments
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