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8/29/2016
I fondi azionari non sono tutti uguali. Basta considerare i fondi che investono prevalentemente in titoli value e quelli che invece preferiscono comprare titoli growth: i primi hanno come denominatore comune valutazioni di mercato basse in relazione ad alcuni multipli, come il prezzo/utile, il prezzo/valore contabile del capitale e prezzo/flussi di cassa. Nell’era del quantitative easing sono risultati però i più svantaggiati.
"Siamo investitori value e non facciamo eccezioni. Nel lungo termine le strategie value tendono a sovraperformare rispetto alle strategie growth, anche se nei periodi di breve / medio periodo potrebbero verificarsi delle sottoperformance. Dall’inizio della crisi finanziaria ad oggi abbiamo assistito ad uno dei più lunghi periodi di underperformance per i titoli value: il cambio di direzione è evidente e l’opportunità ora di investire in questa tipologia di titoli è interessante” spiega AdvisorOnline.it Lance Graham (nella foto), portfolio manager del team Fundamental equities di State Street Global Advisors, gestore del fondo State Street Europe Value Spotlight Fund.
Da poco prima dello scoppio dell’ultima crisi finanziaria (dicembre 2007) a oggi, infatti, i titoli growth (rappresentati dall’indice MSCI World Growth Index) hanno registrato una performance annua del 3,8% rispetto al 2,8% delle Borse (indice MSCI World Index) e del magro 1,7% dei titoli value. Tuttavia, sul lungo periodo l’investimento in titoli value paga: negli ultimi trent’anni (dal 1985) i titoli value hanno ottenuto un rendimento annuo del 9,16% rispetto all’8,14% dei titoli growth. “Partendo dal fatto che il futuro è incerto, pensiamo che la migliore protezione contro l’incertezza sia comprare azioni a un valore più basso rispetto al loro valore intrinseco, creando così un margine di sicurezza. Il nostro processo è studiato a questo scopo e ci focalizziamo sulle opportunità migliori sul mercato indipendentemente dai vincoli di benchmark. Ci concentriamo dunque laddove identifichiamo del valore investendo nel lungo periodo” prosegue.
Il team è composto da quattro gestori e 18 analisti che sono anche portfolio manager. Sono organizzati per settori globali: tecnologia, energia, finanziari, healthcare, tech &telco e così via. Ogni portafoglio è molto concentrato e composto da 30 – 40 azioni che in media sono tenute in portafoglio per 3 anni e ha un focus geografico specifico sui mercati globali, europei o asiatici. “Non costruiamo il nostro portafoglio sulla base dei settori o seguendo un benchmark. La ragione è semplice: fare riferimento a un benchmark vuol dire guardare al passato. Quando i settori o le aree geografiche sono arrivati a costituire un’ampia porzione del benchmark significa che hanno già ottenuto buoni risultati e che probabilmente è rimasto poco valore a disposizione. Viceversa i settori meno presenti nel benchmark avranno sottoperformato ed è probabile che ci sia più spazio per un maggiore valore" sottolinea Graham.
Passando all’asset allocation, Graham dice di aver sottopesato i difensivi e sovrapesato i ciclici. “Credo che ci siano delle opportunità nel settore finanziario, ma in un’ottica di lungo termine oggi vediamo maggiori opportunità sui titoli bancari rispetto agli asset manager o agli assicurativi. Tuttavia, è innegabile che ci siano molte preoccupazioni sulle banche: fare profitti con i tassi a zero è sempre più difficile per gli istituti. Troviamo il settore interessante nel lungo periodo nonostante le difficoltà del breve periodo che si possono riscontrare. Tuttavia, la valutazione non è l'unico criterio da tenere in considerazione. I bilanci devono essere solidi" conclude.
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